20 settembre 2018 11:34

Dopo gli scambi di vedute ostili delle ultime settimane, i leader europei s’incontrano il 20 settembre a Salisburgo, in Austria, per affrontare l’argomento che infiamma gli animi: l’immigrazione.

Donald Tusk, presidente del Consiglio europeo, ha provato a portare un po’ di razionalità nel dibattito, sottolineando che il numero di sbarchi clandestini in Europa è crollato, passando dai due milioni del picco del 2015 a meno di centomila nel 2018, per un continente abitato da più di mezzo miliardo di persone.

Il flusso, ha evidenziato Tusk davanti ai 28 capi di governo riuniti per una cena informale la sera del 19 settembre, si è ridotto anche rispetto ai dati precedenti al drammatico 2015. Anziché cercare di trarre vantaggi politici dalla situazione dovremmo concentrarci su ciò che funziona e avanzare insieme, ha dichiarato il presidente del Consiglio europeo. Messo in questi termini, il concetto appare ragionevole.

Ma la verità è che difficilmente passerà questa linea, per almeno due ragioni. Prima di tutto questo è un anno elettorale, con le elezioni europee in programma a maggio. Le forze populiste e di estrema destra sentono il vento in poppa dopo i successi degli ultimi mesi, soprattutto in Italia dove sono al governo, e questo evidentemente cambia le carte in tavola.

La retorica di questi partiti antimmigrazione è molto lontana dalla razionalità delle cifre come quelle sciorinate da Tusk. Al contrario, si gioca sul registro emotivo. Ci sono poche possibilità che queste forze politiche cambino improvvisamente un approccio vantaggioso in termini di voti.

L’Europa continua a pagare per il caos e l’incoerenza del 2015 nella gestione dei migranti

L’altro motivo è più profondo ed è identitario, una parola dai molti sensi, ma che trasuda incertezza sul ruolo della persona nella società e in un mondo tornato a essere spaventoso.

Non è necessario essere minacciati per sentirsi minacciati. In Francia e altrove, l’estrema destra ottiene spesso grandi risultati nelle regioni dove non ci sono praticamente stranieri. Nelle regioni in cui la popolazione si sente colpita dall’economia globalizzata è facile pensare che i nuovi arrivati abbiano più diritti dei cittadini dimenticati dal governo.

L’Europa continua a pagare per il caos e l’incoerenza del 2015, quando alcuni hanno aperto le frontiere mentre altri le chiudevano, oltre che per l’incapacità dei leader politici di parlare con un’unica voce e agire per risolvere una situazione di crisi.

Più recentemente abbiamo assistito alla disastrosa vicenda dell’Aquarius, una nave carica di profughi respinta dall’Italia e che nessuno voleva accogliere. Le imbarcazioni successive sono state gestite in modo migliore, ma ci vorrà tempo per far dimenticare alla gente le immagini deplorevoli dei mesi e degli anni precedenti.

L’Europa sta rafforzando la sua sicurezza esterna con un aumento di diecimila effettivi per Frontex, la polizia di confine europea, ma anche in questo caso il dato psicologico non cambia.

In questo periodo è difficile sostenere la necessità di riaffermare i valori di accoglienza dell’Europa nei confronti dei disperati della terra e al contempo rassicurare gli europei più fragili del fatto che non saranno loro a pagare questa solidarietà necessaria. È un percorso che i leader europei non sembrano ancora in grado di seguire insieme.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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