17 dicembre 2021 10:06

Da diversi anni la parola “polarizzazione” è usata sempre più spesso per descrivere varie situazioni politiche in giro per il mondo. Raramente però questo concetto, che rimanda all’immagine di una società divisa in due poli radicalmente opposti, è apparso calzante quanto lo è oggi in Cile, alla vigilia del secondo turno delle elezioni presidenziali previsto per il 19 dicembre.

I due candidati, infatti, incarnano letteralmente due visioni contrastanti del paese e della società, e i sondaggi indicano che la distanza tra loro è minima. José Antonio Kast, avvocato di 55 anni che ha ottenuto la maggioranza dei voti, è un politico di estrema destra sostenitore della legge e dell’ordine e ammiratore dell’epoca di Pinochet. Per lui la scelta è tra la “democrazia” e il “comunismo”. Kast è contro i diritti lgbt in un paese che pochi giorni fa ha approvato il matrimonio per le persone dello stesso sesso. Lo sfidante di Kast è Gabriel Boric, ex leader degli studenti della sinistra radicale successivamente eletto in parlamento. A 35 anni, Boric guida una grande coalizione di partiti e associazioni della sinistra cilena.

Storie diverse
Questa polarizzazione avrà conseguenze pesanti a prescindere dal risultato elettorale, perché gli antagonismi politici e sociali non spariranno certo con il voto. La spaccatura della società cilena è il prodotto della storia degli ultimi decenni. I due candidati non sono solo molto diversi, ma raccontano storie diverse del Cile.

Le elezioni presidenziali sono il punto d’arrivo di questo lungo processo conflittuale

Da un lato abbiamo il successo economico prodotto dall’influenza dei Chicago boys, i liberisti discepoli di Milton Friedman che hanno guidato il paese ai tempi della dittatura. Oggi quella cilena è la prima economia dell’America Latina. Dall’altro, c’è il movimento di contestazione sociale emerso nel 2019 a causa delle profonde disuguaglianze nel paese, e che ha dato vita all’assemblea costituente da mesi riunita per scrivere la prima costituzione del dopo Pinochet, in linea di principio più ugualitaria.

Difficile riconciliare queste due “letture” del Cile, come dimostrano i numerosi momenti di tensione e scontro degli ultimi tre anni. Le elezioni presidenziali sono il punto d’arrivo di questo lungo processo conflittuale.

Al primo turno l’affluenza è stata appena del 47 per cento, dunque i candidati dovranno fare il possibile per mobilitare la popolazione. Gabriel Boric, in particolare, dovrà concentrarsi sui giovani che non credono più nel sistema e hanno scelto di non votare. Lo scrutinio cileno avrà un impatto su tutto il continente, anche perché la stessa polarizzazione si ritrova altrove in America Latina.

In passato José Antonio Kast ha espresso il suo sostegno al presidente brasiliano Jair Bolsonaro, un altro populista nostalgico della dittatura militare. L’anno prossimo Bolsonaro affronterà una difficile elezione presidenziale in cui dovrà fare i conti con il ritorno di Lula, l’ex presidente di sinistra incarcerato e attualmente in testa ai sondaggi.

Lo scontro tra destra e sinistra non è una novità in America Latina. La differenza rispetto al passato, tanto in Cile quanto in Brasile, è la miscela di conservatorismo sociale e populismo “trumpiano”. Il voto cileno sarà una cartina di tornasole per questa stridente fusione ideologica.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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