L’esercito israeliano sta richiamando decine di migliaia di riservisti in vista di un’espansione delle operazioni nella Striscia di Gaza. Nel frattempo moltiplica gli attacchi in Siria e continua a bombardare il Libano nonostante il cessate il fuoco.

Il 4 maggio un missile proveniente dallo Yemen si è abbattuto sull’aeroporto di Tel Aviv senza fare vittime. Il governo di Benjamin Netanyahu ha promesso rappresaglie.

Le molte operazioni militari israeliane sollevano diversi interrogativi sugli obiettivi di guerra del paese, a 19 mesi di distanza dall’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023. La guerra, in atto su diversi fronti, è ormai la più lunga della sua storia e all’interno della società cresce un movimento di opposizione con una forte partecipazione popolare.

Gli obiettivi di Tel Aviv hanno continuato a cambiare fin dall’inizio del conflitto, in particolare nella Striscia di Gaza, sottoposta da due mesi a un blocco totale degli aiuti umanitari e a raid incessanti. Israele si prepara a modificare la propria strategia nel territorio palestinese, ma non sembra disposta a cercare una soluzione politica, come invece chiedono i paesi arabi ed europei.

Il blocco, criticato a livello mondiale, viola innegabilmente il diritto internazionale, tanto che l’accesso delle organizzazioni umanitarie è al centro di una procedura presso la corte internazionale di giustizia delle Nazioni Unite. Lo stato ebraico, intanto, sta negoziando con l’amministrazione Trump un nuovo sistema di distribuzione degli aiuti, che escluderà l’Onu e le ong a beneficio di società di sicurezza private selezionate dal governo.

Tutti gli ostacoli israeliani agli aiuti umanitari
Dall’inizio dell’offensiva a Gaza, l’esercito d’Israele prende di mira il personale delle ong e gli impedisce di lavorare. Inoltre da due mesi vieta l’ingresso dei beni di prima necessità

Il ritorno degli aiuti, in questa forma altamente controllata, è tanto più discutibile se consideriamo che sarà accompagnato da un’estensione delle operazioni militari in un territorio sempre più martoriato.

Ufficialmente Israele afferma ancora di agire per eliminare Hamas, ma è un obiettivo che continua a sfuggirgli. Intanto, i metodi utilizzati dallo stato ebraico, compresa l’arma della fame, costituiscono una punizione collettiva nei confronti dei civili, con la minaccia permanente di veder realizzata la proposta avanzata da Donald Trump: l’espulsione di due milioni di palestinesi e l’avvio di un progetto immobiliare di lusso. Le voci più estremiste all’interno del governo israeliano sono favorevoli a questa assurdità.

Rispetto agli altri fronti, la Siria sta assumendo un ruolo sempre più importante, con l’invio di truppe sul campo che, secondo lo stato ebraico, avrebbero il compito di proteggere i cittadini drusi dopo una serie di episodi violenti nel paese.

Alcuni di loro, infatti, si sono rivolti a Israele dopo aver subìto attacchi da parte di gruppi radicali sunniti, ma altri temono che il coinvolgimento di Tel Aviv possa trascinare la Siria verso la tanto temuta divisione del suo territorio.

Tutto questo alimenta enormi dubbi sulla strategia dello stato ebraico. Dopo i successi militari dell’anno scorso, il governo approfitta di un rapporto di forze che gli è estremamente favorevole, con la benedizione dell’amministrazione Trump, fatta eccezione per la questione legata all’Iran, su cui per il momento Washington predilige la via diplomatica.

Questo rapporto di forze permette a Israele di imporsi come potenza egemonica in Medio Oriente, evitando qualsiasi trattativa che possa implicare concessioni. I paesi che continuano a parlare della soluzione dei due stati e di una trattativa politica, come la Francia e altri, sono considerati nel migliore dei casi come ingenui, nel peggiore come ostili.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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