01 settembre 2015 08:47

Guardata dal lato della cattedra, la riforma della scuola è una bolgia e una mezza rivoluzione. Il ministero l’ha divisa in fasi (quelle di attuazione della cosiddetta Buona scuola), numerandole da uno a tre: nella prima, ci sono i “salvati”, quelli che sono già entrati in ruolo secondo il vecchio metodo dello scorrimento delle graduatorie e sono andati a sostituire 29mila docenti andati in pensione.

Questi sanno già, alla riapertura dell’anno, in quale scuola andare e – più o meno – per fare cosa. Non devono ringraziare né il presidente del consiglio Renzi né la ministra dell’istruzione Giannini, né i sindacati, perché sarebbero saliti in cattedra comunque.

Poi ci sono i “sommersi”, quelli che, trovandosi un po’ più indietro nelle graduatorie, hanno fatto la domanda per il piano di assunzioni straordinario, la grande sanatoria che avrebbe dovuto abolire per sempre la lista dei precari. Una parte di loro – uno su cinque – non ha fatto domanda di assunzione, e perde per sempre (pare) il diritto a un posticino in graduatoria.

In pieno marasma

I 71.463 che l’hanno fatta, invece, adesso sono in pieno marasma: un algoritmo gli sta assegnando il posto (combinando classi di concorso, loro preferenze e sedi disponibili in tutt’Italia), entro l’11 settembre dovranno dire se accettano, se non lo fanno saranno (sicuramente) depennati per sempre dalle graduatorie. Molte di queste domande sono già state cancellate, perché non ricevibili.

Fuori da tutto ciò, ci sono le liste residue dei precari: quelli delle graduatorie d’istituto, quelli che si sono laureati e specializzati troppo tardi per iscriversi alle graduatorie esaurimento, i più giovani. E le 24mila maestre della materna, tenute fuori dalle assunzioni poiché non se ne parla prima di una riforma complessiva dell’istruzione da zero a sei anni che è stata affidata a un decreto delegato (uno dei tanti, se ne attendono 24 in tutto, per attuare la Buona scuola).

Solo nel 2016 scatteranno le novità che più hanno diviso e fatto discutere

Guardata invece dal lato dei banchi, la bolgia resta ma la rivoluzione è quantomeno rinviata. I circa otto milioni di studenti che nei prossimi giorni metteranno piede nelle quarantamila scuole statali italiane non troveranno ad attenderli grandi novità. E non solo perché – sin dall’inizio – la riforma non ha scelto di incidere su programmi, ordinamenti, organizzazione dell’istruzione. Ma anche perché di fatto entrerà in vigore solo nel 2016, cioè con l’inizio del prossimo anno scolastico.

Solo allora scatteranno le novità che più hanno diviso e fatto discutere: il nuovo potere dei presidi, i comitati di valutazione, gli albi territoriali degli insegnanti. E solo per l’anno prossimo arriveranno i nuovi docenti selezionati con il nuovo concorso – che stando alle promesse dovrebbe essere bandito entro breve.

Precari alla spicciolata

Per ora c’è il piano di assunzione dei precari: esattamente quel che sindacati e opposizioni avevano chiesto di far partire prima, stralciandolo dalla riforma, e che il governo non ha voluto stralciare per poter far passare rapidamente tutto il pacchetto. I precari entreranno alla spicciolata, da ottobre e novembre in poi. Ma attenzione: non saranno tutti.

Non riempiranno il contingente studiato e introdotto per poter svuotare le graduatorie, chiamato “organico potenziato”: dovevano essere mediamente sette docenti in più per scuola, per 48.812 posti ordinari e 6.446 di sostegno (secondo la tabella 1, allegata alla legge 107). Ma circa diecimila posti resteranno vacanti perché non coperti dalle domande. E molti altri – non si sa ancora quanti di preciso, ma un sito autorevole come Tuttoscuola è arrivato a stimarne trentamila – resteranno vuoti per un altro inghippo tutto ministeriale: se i docenti nominati su quei posti hanno nel frattempo avuto e accettato una supplenza annuale su altri posti, possono rinviare di un anno l’entrata in ruolo nei ranghi dell’organico potenziato.

Le scuole dovranno scegliere cosa far fare ai nuovi arrivati

Conclusione: o l’organico potenziato nel primo anno sarà assai depotenziato – con un risparmio notevole per le casse pubbliche, dai quattrocento milioni a oltre un miliardo – oppure i nuovi posti, appena nati, saranno già coperti dai supplenti, alimentando quel precariato che la legge voleva eliminare. La ministra Giannini, in una nota in risposta a questi dubbi, ha promesso che si sceglierà la seconda soluzione: supplenti sui posti non coperti.

Insomma: al rientro in classe, i ragazzi si troveranno gli antichi professori, i nuovi che hanno sostituito quelli in pensione, e in più dai quattro ai sette docenti in ogni scuola (alcuni fissi, altri supplenti) che non hanno ancora un incarico preciso. Infatti la stessa legge prevede un elenco infinito di compiti da assegnare all’organico potenziato (che vanno dalla lettera a alla lettera r del comma 7 dell’articolo unico che compone la riforma), ma passa alle scuole la palla: queste dovranno scegliere cosa far fare ai nuovi arrivati, con il piano triennale dell’offerta formativa, che si scriverà di qui a ottobre.

In compenso, ci sarà qualcuno nelle scuole che ha fin troppo da fare: i cosiddetti “vicari” dei dirigenti, maestre e professori ai quali fino all’anno scorso era alleggerito il carico didattico perché svolgevano ruolo di vicepreside, e che invece da oggi dovranno fare tutte le ore previste. Sempre che, come molti chiedono, non arrivi anche su questo una correzione della riforma.

Se ancora non si sa di preciso cosa faranno i professori dell’organico potenziato, si sa a grandi linee cosa sanno fare. La specializzazione prevalente, tra le domande ricevute, riguarda le discipline giuridiche ed economiche: ben 5.460 domande, di cui oltre mille dalla sola Campania, 663 dalla Puglia e 623 dalla Sicilia. Per fare un confronto: i nuovi entrati docenti di diritto ed economia (discipline che si insegnano in pochi indirizzi delle scuole italiane) sono il doppio di quelli di inglese, e il triplo di quelli di matematica.

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