28 febbraio 2021 10:04

Mentre la crisi legata alla pandemia alimenta più che mai la domanda di giustizia sociale, una nuova inchiesta condotta da un consorzio di giornali internazionali rivela gli orrori finanziari del Lussemburgo, un paradiso fiscale nel cuore dell’Europa. È urgente cambiare profondamente il sistema economico e orientarlo alla giustizia e alla ridistribuzione. Cominciamo dalle priorità.

La prima dovrebbe essere il rilancio sociale, salariale ed ecologico. La crisi di covid-19 ha chiarito a tutti quanto siano bassi gli stipendi nei settori essenziali. La Confederazione francese democratica del lavoro (Cfdt), un sindacato peraltro considerato moderato, a gennaio ha chiesto un aumento immediato del 15 per cento di tutti gli stipendi di livello basso e medio nel settore socio-sanitario. Lo stesso andrebbe fatto per l’istruzione e gli altri settori con bassi salari. È arrivato anche il momento di accelerare seriamente la riqualificazione energetica degli edifici, di creare molti posti di lavoro nei settori dell’ambiente e delle rinnovabili, di estendere il sistema di reddito minimo a giovani e studenti.

Fino a dove è lecito spingersi in questa opera di rilancio pubblico? La risposta è semplice: finché l’inflazione resterà quasi nulla e i tassi d’interesse saranno a zero, bisogna andare avanti. Se e quando l’inflazione dovesse risalire a livelli più significativi (per esempio, fra il tre e il quattro per cento all’anno per due anni consecutivi), allora sarà il momento di rallentare.

Strumenti utili
Il secondo passo è tassare i patrimoni privati per finanziare il rilancio sociale e ridurre l’indebitamento pubblico. Questo richiederà uno sforzo ulteriore di trasparenza finanziaria. L’inchiesta OpenLux lo dimostra: il registro dei proprietari delle aziende, al di là delle società di copertura, che il Lussemburgo ha reso pubblico perché obbligato dall’Europa (e che la Francia deve ancora mettere online), ha molti difetti. Lo stesso vale per il sistema di scambio automatico delle informazioni bancarie istituito dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse).

Questi nuovi strumenti sono utili, ma vanno usati per far pagare i più ricchi, quelli che fino a oggi eludevano le tasse. Ma soprattutto è essenziale che i governi diano indicatori per permettere a chiunque di verificare il percorso verso un sistema fiscale più giusto. Le amministrazioni fiscali devono pubblicare ogni anno dati dettagliati sulle tasse pagate e verifiche incrociate sulle diverse categorie di contribuenti. Questi dati dovrebbero essere nominali, soprattutto per le aziende e i patrimoni più grandi. Se questo non si può fare, si dovrebbero almeno indicare chiaramente le tasse pagate dalle persone più ricche: i patrimoni compresi tra uno e dieci milioni di euro, quelli tra dieci e cento milioni, quelli tra cento milioni e un miliardo, e così via.

I miliardari compaiono su tutti i giornali, è ora che ci siano anche nelle statistiche fiscali. Secondo la rivista francese Challenges, tra il 2010 e il 2020 i primi cinquecento patrimoni francesi sono passati da 210 a 730 miliardi di euro (dal dieci al trenta per cento del pil). Com’è cambiata la loro tassazione? Nessuno lo sa.

Se sulla trasparenza i governi hanno fatto davvero progressi folgoranti come dicono, è ora che lo dimostrino. Se consideriamo non più quei cinquecento patrimoni (superiori ai 150 milioni di euro di patrimonio individuale secondo Challenges) ma i primi 500mila (chi ha un patrimonio superiore agli 1,8 milioni di euro secondo il World inequality database), parliamo in tutto di 2.500 miliardi di euro (circa il 120 per cento del pil) e di circa l’un per cento della popolazione adulta, il che aumenta ulteriormente la posta in gioco in materia fiscale.

Per risolvere la situazione può essere utile anche guardare alla storia. Dopo la seconda guerra mondiale, quando l’indebitamento pubblico era più alto di quello attuale, la maggior parte dei paesi istituì dei prelievi eccezionali sui patrimoni privati. Fu il caso in particolare della Germania, con il sistema di Lastenausgleich (condivisione del fardello), adottato nel 1952. Grazie a un prelievo fiscale fino al 50 per cento sui patrimoni finanziari e immobiliari più alti, questo sistema ha fruttato il sessanta per cento del pil allo stato, in un’epoca in cui i miliardari erano meno ricchi di oggi.

Insieme alla riforma monetaria del 1948 e all’annullamento del debito estero nel 1953, questo sistema permise alla Germania di liberarsi del suo enorme debito pubblico senza dover ricorrere all’inflazione e facendo leva su un obiettivo credibile di giustizia sociale. È ora di tornare alle radici di quello che ha reso la ricostruzione europea del dopoguerra un successo.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è uscito sul numero 1397 di Internazionale. Compra questo numero | Abbonati

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