11 novembre 2016 15:54

Secondo la tv curdoirachena Rudaw, dopo l’elezione di Donald Trump come presidente degli Stati Uniti gli iracheni non si aspettano un cambiamento nella politica estera di Washington nei confronti dell’Iraq e del mondo arabo. Lo spiega bene Sadiq Al Taii sul quotidiano Al Quds: “La scelta è sempre tra il male e il peggio. Ma chi ha visto la morte in faccia è contento di avere la febbre”.

Quando Trump siederà sulla poltrona di presidente degli Stati Uniti, la città di Mosul sarà stata liberata dal gruppo Stato islamico (Is) e lui dovrà avere a che fare con l’Iraq del dopo Is. Trump non crede in un Iraq unito, crede che ci siano molti Iraq e iracheni diversi. Quindi si adeguerà alla recente proposta dell’attuale vicepresidente degli Stati Uniti Joe Biden di dividere l’Iraq in tre regioni federali: una sciita, una curda e una sunnita.

L’analista Hussain Karkoush ritiene che l’aggressività di Trump potrebbe incrociarsi pericolosamente con l’aggressività dell’islam radicale dell’Arabia Saudita e dell’Iran. Karkoush ricorda che il vice di Trump, Mike Pence, ha una certa familiarità con la guerra in Iraq fin dal 2003, e aveva appoggiato George W. Bush e i suoi piani di aumentare i soldati statunitensi nel paese.

Speranze e paure
Il fatto che molti utenti di Facebook e di Twitter considerano Trump come una semplice “febbre” dipende anche “dagli errori commessi dai democratici nella loro politica nei confronti dell’Iraq durante l’amministrazione di Barack Obama e della sua segretaria di stato, Hillary Clinton”. “Basta vedere cos’è successo in Iraq, in Siria, in Libia e nello Yemen negli ultimi otto anni”, commenta Ebrahim al Zubaidi, secondo il quale ci sono state sempre più guerre e più danni causati da elementi dell’islam radicale provenienti da paesi come l’Iran, l’Arabia Saudita e la Turchia.

Il ricercatore Abbas Kadhim critica le ultime azioni dei democratici statunitensi, che hanno dato la caccia ai terroristi lasciando però intatta la culla e l’incubatrice del terrorismo, e suggerisce di passare al contrattacco affrontando il problema alla radice e concentrando l’attenzione sulle moschee wahabite e vicine al takfirismo (un’ideologia sunnita radicale), e sulle scuole e i mezzi d’informazione appoggiati e finanziati da paesi autoritari come l’Arabia Saudita o l’Iran.

A Trump sono arrivate cinque lettere di congratulazioni dal presidente iracheno Fuad Masum, dal primo ministro Haider al Abadi, dal presidente del parlamento Salim al Jabouri, dal presidente della regione autonoma del Kurdistan Massud Barzani e dal suo primo ministro Nechirvan Barzani. Ognuno di loro ha espresso le sue diverse speranze nei confronti del nuovo presidente statunitense. Ma tutte e cinque hanno la stessa paura: che Trump possa allontanare gli Stati Uniti dal resto del mondo e isolarli dalle crisi nel resto del mondo. Secondo i blogger che vivono fuori dalla Green zone di Baghdad, l’elezione di Trump non porterà grandi cambiamenti. Per questo fanno circolare in rete un fotomontaggio in cui le facce di Clinton e Trump si fondono in un unico volto.

(Traduzione di Stefania Mascetti)

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