08 gennaio 2018 16:18

La fine del 2017 ha portato una sorpresa agli iracheni convinti che i partiti religiosi al potere non abbiano realizzato le riforme che avevano promesso. La speranza di un cambiamento è arrivata dal vicino Iran. Le proteste in corso nel paese, infatti, in un modo o nell’altro avranno delle ripercussioni sull’Iraq, e per diverse ragioni.

Innanzitutto molti leader dei principali partiti iracheni hanno vissuto in Iran durante i 35 anni del regime di Saddam Hussein e sono rimasti profondamente segnati dalla loro esperienza nella repubblica islamica.

La maggior parte di loro segue la Velayat-e faqih, la dottrina secondo cui l’autorità religiosa ha il compito di sovrintendere alle attività politiche, vigilando sull’applicazione della dottrina. Inoltre l’Iran ha un ruolo di primo piano nella politica irachena. Tutti i politici iracheni visitano regolarmente il paese vicino o chiedono consiglio alle autorità di Teheran per risolvere i problemi o i conflitti interni e per formare i governi.

Un esempio negativo
Inoltre diverse milizie sciite attive in Iraq sono legate all’Iran. Almeno la metà delle 46 milizie raccolte nelle Forze di mobilitazione popolare, che hanno partecipato alla lotta contro il gruppo Stato islamico in Iraq, sono state addestrate, equipaggiate e guidate dal generale iraniano Qassem Soleimani.

I mezzi d’informazione ufficiali o semiufficiali iracheni si occupano distrattamente di quello che sta avvenendo in Iran. Se lo fanno seguono la stessa versione delle autorità iraniane che parlano di una cospirazione guidata dagli Stati Uniti, da Israele e dall’Arabia Saudita.

I leader di due milizie sciite irachene hanno minacciato di intervenire se necessario per reprimere le manifestazioni in Iran. Da parte loro le persone che stanno protestando in Iran rinfacciano al loro governo teocratico di sprecare soldi ed energie all’estero. Uno degli slogan urlati durante le manifestazioni è “Sacrifico la vita per l’Iran, non per Gaza né per la Siria, per il Libano, per l’Iraq o per lo Yemen”. I manifestanti vogliono risolvere i loro problemi interni.

Lo scorso ottobre il ministero dell’interno iraniano ha pubblicato un documento che rivela come la disoccupazione sia aumentata fino al 12,5 per cento e in alcune province, come Kermanshah, abbia superato il 60 per cento. Undici milioni di iraniani vivono in aree povere, in un paese che produce 4,4 milioni di barili di petrolio al giorno.

È per questo che Adnan Hussain, il direttore del quotidiano laico iracheno Al Mada, definisce l’Iran “il vicino malato” e lo porta come esempio negativo agli iracheni che vogliono seguire il suo stile islamico. Quello che i due vicini hanno in comune è la povertà diffusa in un paese ricco. Gli avvenimenti in corso in quello più grande si riflettono su quello più piccolo.

(Traduzione di Francesca Gnetti)

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