18 settembre 2016 10:00

Quando decisero di darsi all’agricoltura, come tanti figli della contestazione degli anni settanta, Maurizio Gria e Fulvia Mantovani non immaginavano che, un giorno di fine estate di quasi quarant’anni dopo, avrebbero festeggiato con uno scontato “butta la pasta” i cinque milioni racimolati con una campagna di autofinanziamento.

Lo fanno in una delle tre cucine del pastificio che hanno appena inaugurato a Casteldidone, nelle campagne tra Cremona e Mantova. Si tratta di un gioiello di bioedilizia, oltre che di un miracolo della cosiddetta altra economia, dove non esistono manager strapagati e il business della chimica agricola è messo al bando: quasi 15mila metri quadri di stabilimento interamente costruito con materiali riciclabili prodotti in un raggio di 150 chilometri (pareti, scale e pavimenti in legno della val Camonica, acciaio, argilla, canapa), circondato di ampie vetrate per renderlo “un luogo aperto” che permetta agli operai di lavorare affacciati sulla campagna che li circonda, con macchinari nuovissimi e pannelli fotovoltaici che garantiscono il 50 per cento di corrente elettrica pulita (“ma entro due anni avremo la totale autosufficienza energetica”, assicurano). Una volta ultimato, ci saranno pure un parco per i bambini, un asilo, una sala convegni e un museo.

Si sono inventati delle azioni mutualistiche emesse dalla stessa azienda, con un dividendo annuale in soldi e in buoni spesa

Per vedere da vicino e studiare questa fabbrica che per diversi aspetti somiglia al modello messo in piedi da Adriano Olivetti negli anni settanta sono arrivati curiosi ed esperti da tutto il mondo, dalla Germania al Giappone. L’Iris differisce però in maniera sostanziale rispetto al “comunitarismo” di Olivetti su un punto decisivo: qui non c’è un padrone illuminato ma la proprietà è collettiva.

Le decisioni le prende un consiglio d’amministrazione – nel quale sono rappresentati i lavoratori, i gruppi d’acquisto e i piccoli finanziatori – nonché l’assemblea alla quale partecipano tutti, compreso chi ha sottoscritto le azioni mutualistiche da mille euro grazie alle quali sono stati raccolti i cinque milioni sui sette previsti come obiettivo finale, usati per la costruzione del nuovo stabilimento. Il tasso di partecipazione agli incontri è vicino al 100 per cento, segno che chi sottoscrive si sente coinvolto nel suo destino.

Seminare il cambiamento
L’Iris ha deciso fin dall’inizio, nel 1978, di non sottostare alle regole del mercato: niente grande distribuzione, con la sola recente eccezione della Coop; rapporto diretto con piccoli negozi e consumatori, al punto che il 35 per cento della produzione è destinato alla rete dei gruppi d’acquisto solidale, che negli anni ottanta loro stessi contribuirono a creare; coinvolgimento nel progetto degli agricoltori, ai quali si chiede di diventare soci finanziatori in cambio della possibilità di ottenere finanziamenti da Banca Etica e del pagamento di un “giusto” prezzo garantito che riconosce il lavoro svolto e la qualità del prodotto, senza lasciarsi influenzare dalla spirale deflazionistica: il grano attualmente viene pagato 35 euro al quintale, contro gli attuali 16 sul mercato.

Soprattutto, ha detto no all’intermediazione bancaria. Si sono inventati delle azioni mutualistiche emesse dalla stessa azienda, con un dividendo annuale in soldi e in buoni spesa, e la garanzia della restituzione del capitale, a richiesta o alla scadenza. È stato così che sono stati raccolti i cinque milioni che ora stanno festeggiando.

Il controllo della qualità degli spaghetti nel pastificio Iris, il 6 settembre 2016. (Andrea Sabbadini, Buenavista photo)

“La cosa più bella è che i sottoscrittori sono trasversali, sia per classe sociale sia per appartenenza politica”, spiega Gritta. La sua storia affonda le radici nella cultura ecolibertaria degli anni settanta, che in Lombardia creò una nicchia “alternativa” di grande effervescenza, con l’idea non solo di tornare all’agricoltura dopo la sbornia industriale, ma di creare attorno a essa una “comunità di vita”, come mi ha spiegato Gabriele Corti, un ex hippie che ha risistemato una vecchia cascina nel parco Ticino sud, dandosi all’agricoltura biologica.

Ma a Casteldidone non si sono lasciati influenzare dal “libretto verde” che all’epoca andava per la maggiore, Piccolo è bello del filosofo ed economista tedesco Ernst Friedrich Schumacher, che su basi protoecologiste metteva in discussione il modello basato sulla grande industria e il consumismo propugnando un’alternativa fondata su piccole imprese e produzioni locali.

Al contrario, hanno messo in piedi un vero e proprio colosso della produzione biologica, con numeri da far impallidire le imprese tradizionali: duemila ettari di terreni coltivati a grano duro e tenero, grano saraceno, senatore Cappelli, mais, farro e legumi in 12 regioni da nord a sud d’Italia, 50mila quintali di cereali prodotti e 210mila quintali di pasta diffusi ogni anno in una ventina di paesi, quasi diciotto milioni di un fatturato realizzato per metà all’estero e in continua crescita, un investimento di 20 milioni nel nuovo pastificio dopo che quello vecchio, il Nosari a Piadena, era rimasto danneggiato dal terremoto del 2012.

Attorno all’Iris ruotano una sessantina di lavoratori, tra stabili e stagionali, e trecento agricoltori, ma ciò di cui vanno maggiormente fieri è che il “modello” che si sono inventati si sta espandendo: chi partecipa alle riunioni dei weekend nella cascina Corteregona di Calvatone poi prova a fare la stessa cosa nei luoghi di provenienza e nel proprio ambito di lavoro, com’è accaduto a una cooperativa di Biella convertita alla bioedilizia.

Il nostro obiettivo è convincere i contadini che l’agricoltura biologica conviene e non è detto che debba costare più di quella convenzionale

La cascina, in pieno parco naturale dell’Oglio, è la vecchia sede dell’Iris. Qui ci sono quaranta ettari di terreni coltivati direttamente da loro e le serre con i pomodori e l’insalata, si tengono corsi di agricoltura e panificazione e c’è una sala per ospitare a pranzo visitatori e gruppi d’acquisto e un piccolo spaccio dei loro prodotti. All’ingresso, un murale “dipinto da alcuni writer romani” porta la scritta “Semina cambiamento”. Maurizio Gritta e Fulvia Mantovani vivono qui.

Grandi numeri
Nonostante il successo, Fulvia Mantovani ricorda che la “mission” dell’Iris non è cambiata: praticare e diffondere l’agricoltura biologica; creare occupazione, in particolare femminile (le donne occupate sono il 60 per cento); riconoscere il “giusto prezzo” a ogni tassello della filiera; garantire la qualità dei prodotti, salari equi e condizioni di lavoro ottimali, con pause anche ogni dieci minuti; sviluppare il rapporto diretto con il consumatore; promuovere la cultura della proprietà collettiva.

La cooperativa applica i contratti collettivi nazionali di lavoro, “anche se vorremmo arrivare a un unico contratto per tutti, per ridurre al massimo le differenziazioni salariali”, e al denaro aggiunge alcuni benefit, come un buono spesa annuo di 500 euro in alcuni negozi.

Il parco naturale dell’Oglio, il 6 settembre 2016. (Andrea Sabbadini, Buenavista photo)

“Non è stato facile imporci, specie agli inizi, perché il mondo contadino è conservatore e noi eravamo particolari: avevamo gli stessi valori ma rompevamo lo schema tradizionale”, spiega Gritta. Anche in questo caso la loro tenacia ha avuto la meglio. Non si sono limitati a coltivare, ma hanno cominciato a contattare gli agricoltori e a organizzare riunioni. “Qui a Casteldidone, un paesino di appena 600 abitanti, avevamo un solo contadino associato, ma all’ultima riunione agricola che abbiamo organizzato ce n’erano ottanta”, racconta Franco Stuani, un altro socio della “vecchia guardia”.

“Il nostro obiettivo è quello di convincerli che l’agricoltura biologica conviene e non è detto che debba costare di più di quella convenzionale. Ha solo bisogno di maggiori competenze: bisogna saper parlare con le piante”, che vuol dire “scegliere quali vanno bene nella tua zona, capire se stanno bene o male e curare la fertilità del terreno”, spiega Gritta.

La Sicilia consuma il doppio degli antiparassitari rispetto alla Lombardia

I numeri gli danno ragione: in Italia il biologico, secondo i dati del ministero delle politiche agricole, è cresciuto del 20 per cento in un anno. In Emilia-Romagna il boom è stato ancora più forte: +32 per cento. Se i consumi alimentari crescono più dell’asfittico pil, come ha rilevato il rapporto della Coop sulla vita quotidiana degli italiani, il cibo biologico va a gonfie vele: le vendite di pasta biologica hanno fatto registrare nel 2015 un +21 per cento.

Si tratta di una tendenza in continua ascesa. I margini di crescita sono ancora enormi, se si pensa che in Calabria, in Puglia e in Sicilia, dove si concentra quasi la metà delle produzioni biologiche italiane, i consumi sono ancora quasi inesistenti. Al sud il cibo biologico è solo un prodotto da esportazione, specie verso i paesi del Nordeuropa.

“Quando lo fai notare ti rispondono ‘non ne abbiamo bisogno perché qui abbiamo la roba buona’. Nulla di più falso: la Sicilia consuma il doppio degli antiparassitari rispetto alla Lombardia, basta guardare i campi coltivati senza un filo d’erba per rendersene conto”, afferma Gritta, che gira l’Italia per convincere gli agricoltori a passare al biologico e a insegnargli come si ottengono produzioni di qualità, per stringere accordi e far “gemmare”, come ama dire, realtà analoghe. “Quando siamo nati, abbiamo tutti lasciato un posto fisso per un’idea politica. Oggi siamo la dimostrazione che un’economia solidale è possibile”, è il messaggio che i fondatori dell’Iris vogliono lanciare. Fedeli all’obiettivo che si erano dati quarant’anni fa: divulgare un modo diverso di produrre e consumare.

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