20 dicembre 2018 10:22

Mamadou Kouassi ha 36 anni e viene dalla Costa d’Avorio, dove faceva il bracciante. È arrivato in Italia nel 2007 e ha lavorato per anni nei campi di pomodoro pugliesi, negli aranceti di Rosarno e infine nelle distese di tabacco del casertano per pochi euro all’ora. È uno dei beneficiari della protezione umanitaria, un tipo di permesso di soggiorno che è stato abrogato dal decreto sicurezza e immigrazione in vigore dal 4 ottobre 2018.

Da qualche anno Kouassi è un mediatore culturale del centro di accoglienza Sprar di Caserta oltre che portavoce del Movimento dei migranti e rifugiati della città e insegnante di inglese e francese nelle scuole elementari. Durante una riunione dello Sprar, Kouassi ha alzato la mano e ha preso la parola, proponendo di usare il premio di 170mila euro, ricevuto dalla città di Caserta per la sua attività di accoglienza dei migranti grazie allo Sprar più grande della Campania, per finanziare i buoni libro per le famiglie più bisognose della città.

“Avevamo saputo che alcune famiglie erano in grave difficoltà, non potevano comprare i libri di testo perché da due anni il comune non erogava i fondi destinati ai sussidi”, racconta Kouassi. “Abbiamo pensato che una parte del premio poteva essere usata per aiutare le famiglie in difficoltà”.

Una proposta originale
La proposta del mediatore culturale è piaciuta agli altri operatori dello Sprar e ai richiedenti asilo che insieme hanno scritto una lettera al sindaco per chiedere di accogliere l’idea. Anche 120 insegnanti e due dirigenti scolastici si sono uniti all’appello. “Abbiamo organizzato un sit-in molto partecipato sotto alla prefettura, insieme alle famiglie che avevano bisogno dei buoni libro”, racconta Kouassi. Il risultato è che il sindaco di Caserta Carlo Martino ha sbloccato una parte dei fondi comunali destinati ai libri, a cui aggiungerà il premio ricevuto dalla città.

“Gestiamo uno sportello per il reddito in uno dei quartieri più poveri di Caserta”, racconta Vincenzo Fiano, operatore e attivista del centro sociale Ex Canapificio. “E alcuni genitori avevano raccontato di essere in seria difficoltà perché la scuola era già cominciata ma i bambini non avevano ancora i libri, gli insegnanti si lamentavano e i ragazzi facevano fatica a seguire le lezioni”, racconta Fiano.

Così l’idea di Mamadou Kouassi è sembrata provvidenziale: usare i fondi previsti dall’articolo 12 del decreto legge 193/16. Ma Caserta non è nuova a questo tipo di iniziative, spiega Fiano. “Stiamo sperimentando da anni un modello innovativo di accoglienza, inclusione sociale e lotta al razzismo che abbiamo chiamato inclusione sociale bilaterale”, racconta l’operatore. “Oltre allo Sprar, che garantisce l’accoglienza in appartamenti, la scuola d’italiano, i corsi di formazione e i tirocini per i richiedenti asilo, è stato lanciato anche un piano di inclusione sociale che fa capo al comitato Città viva e coinvolge sia le famiglie di locali sia i richiedenti asilo, le associazioni e le istituzioni”.

Il comitato Città viva è nato dieci anni fa nel quartiere Acquaviva di Caserta: un rione di 20mila abitanti e con una composizione mista, al cui interno si trovano caseggiati popolari e appartamenti residenziali. “Un quartiere separato dalla città da due linee ferroviarie e che ospita gran parte delle abitazioni dove risiedono gli ospiti dello Sprar”, spiega Fiano.

Un modello diverso
Qualche settimana fa c’è stata una grande mobilitazione in Italia, dopo che un regolamento del comune di Lodi ha vietato l’accesso alla mensa per i bambini di origine straniera. Il 13 dicembre il tribunale di Milano ha definito “discriminatoria” la decisione della sindaca della Lega, Sara Casanova, e ha chiesto di annullarla, mentre una raccolta fondi nata spontaneamente sui social network per pagare la mensa scolastica ai bambini esclusi ha superato i 60mila euro.

Seguendo la stessa logica di Casanova, la regione Veneto guidata da Luca Zaia ha chiesto alle famiglie di origine straniera di fornire alcune certificazioni in più rispetto a quelle richieste alle famiglie italiane per accedere ai contributi regionali sull’acquisto dei testi scolastici. Una circolare della sede veneta dell’Associazione nazionale comuni italiani (Anci) ha specificato che nella regione la richiesta di certificati “attiene non solo ai buoni libri ma a tutti i sussidi di carattere economico”. Usare regolamenti e cavilli burocratici per limitare l’accesso al welfare per gli stranieri residenti da lungo tempo in Italia e ai loro figli sembra una nuova strada percorsa dalle amministrazioni comunali e regionali governate dalla Lega. “Prima gli italiani”, è lo slogan che motiva queste decisioni. Anche se poi, spesso, i tribunali le annullano definendole discriminatorie.

A Caserta invece è stato sperimentato un modello alternativo che si fonda su una specie di patto sociale tra le fasce sociali più deboli e gli immigrati della cosiddetta Castelvolturno area. Il comitato Città viva ha dato vita al Piedibus, un servizio di accompagnamento a scuola a piedi per bambini. “Ormai al servizio hanno aderito duecento famiglie e quattro scuole della città, funziona come un autobus, con le sue linee, fermate e orari. Gli accompagnatori sono i genitori o comunque i familiari dei bambini partecipanti, i volontari delle associazioni e i rifugiati dello Sprar”, racconta Vincenzo Fiano.

“Le ricadute sono enormi dal punto di vista della riduzione del traffico, ma soprattutto dell’educazione stradale, della socialità e della formazione di relazioni sane di buon vicinato per i bambini e le loro famiglie”, continua Fiano. Ma i richiedenti asilo dello Sprar animano anche i quattro laboratori gratuiti destinati alla popolazione locale e hanno contribuito alla riapertura di un parco pubblico che era chiuso e abbandonato da tempo. “In una città densa di speculazioni edilizie e devastata dal punto di vista ambientale, il parco rappresenta la possibilità di riscatto: è stato chiuso per anni, ma poi è stato riaperto grazie alla presenza di richiedenti asilo e di persone del posto che si sono offerte per la guardiania”, racconta Fiano.

“La sfida è la creazione di un contesto in grado di valorizzare e mettere a sistema le capacità, i punti di forza, le competenze di ciascuno, affinché l’avanzamento e il miglioramento delle condizioni di qualcuno sia percepito come un avanzamento per tutti”, conclude l’operatore.

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