22 gennaio 2020 11:08

L’argine è alto, è una barriera che ostruisce lo sguardo e impedisce di vedere il Po, il grande fiume che ha percorso più di seicento chilometri e qui incontra l’Adriatico. In una mattina di gennaio, il porto di Gorino è deserto: le barche sono ormeggiate una vicina all’altra e un’aria umida e fitta chiude l’orizzonte. La zona destinata alla pesa delle vongole sembra abbandonata, c’è ancora un albero di Natale allestito con delle decorazioni, ma i macchinari sono fermi e le bilance vuote.

Un unico pescatore, Andrea Soncini, è salito dal porticciolo allo spiazzo di fronte che serve da parcheggio e sta rientrando in auto per tornare a casa. È uscito con la sua barca a pescare verso le sei di mattina, quando era ancora buio. Ha portato dal mare diversi sacchi di vongole. Nella bassa ferrarese, a Goro e nella frazione di Gorino, tutti vivono di pesca, in particolare dell’allevamento di vongole veraci, che hanno portato un’improvvisa ricchezza a partire dagli anni ottanta, in un territorio isolato, strappato all’acquitrino dalle bonifiche del dopoguerra.

Allevare le vongole è un lavoro faticoso, ma molto redditizio e il delta del Po è diventato uno dei principali poli produttivi europei di questi molluschi. Alcuni pescatori riescono a guadagnare anche novemila euro al mese. Dicembre e agosto sono i mesi migliori, la stagione di lavoro più intensa per gli allevatori di vongole destinate alle tavole degli italiani durante le feste di Natale e a Ferragosto. Ma come aveva presagito Sergio Zavoli in un documentario girato nel 1963 a Goro, “perfino il benessere ha trovato rassegnati gli abitanti del posto”.

Nonostante una ricchezza diffusa, da queste parti il futuro sembra incerto, spiega Soncini, che si dice preoccupato dall’aumento della concorrenza, della pesca di frodo, ma soprattutto dei cambiamenti climatici. “Le anguille quest’anno non le abbiamo pescate, sono sparite dai nostri fondali. In compenso è pieno di granchi tropicali. È da un paio di anni che osserviamo dei cambiamenti importanti”, spiega il pescatore, che ancora non ha deciso per chi votare alle prossime elezioni regionali in Emilia-Romagna, a pochi giorni dalla scadenza del 26 gennaio.

Soncini ha sempre votato a sinistra, ma ora dice di essere scontento. Chi sicuramente non andrà a votare è Naia Turri, un’ex mondina di 86 anni, che passeggia per il paese appoggiandosi alla sua bicicletta. “I politici pensano solo ad arricchirsi, sono anni che non vado a votare e nemmeno mia figlia ci va”, spiega in un dialetto che suona come un miscuglio di tante lingue locali, finendo per essere diverso da tutto.

“Bonaccini chi?”, mi risponde quando le chiedo se ha partecipato al comizio dell’attuale governatore della regione, candidato del centrosinistra per un nuovo mandato. Turri sembra completamente estranea alla politica. Il marito, che è morto un anno fa dopo una lunga malattia, era un pescatore come tutti gli abitanti di Gorino, una frazione di seicento persone, molte delle quali ultrasettantenni.

Le barricate contro gli immigrati
Alle elezioni politiche del 2o18, nel comune di Goro la Lega è stata il primo partito, seguita dal Movimento 5 stelle, nonostante due anni prima, alle amministrative, si fosse imposta una lista civica appoggiata dal centrosinistra con quasi il 50 per cento dei consensi. Il 20 gennaio il leader della Lega Matteo Salvini è andato a Goro per sostenere la candidatura di Lucia Borgonzoni alla presidenza della regione, dicendo: “Qui volevano fare il campo profughi d’Italia, ma li avete cacciati, prima gli italiani”.

Nell’ottobre del 2016 Gorino è balzato all’onore delle cronache nazionali per la prima eclatante rivolta contro gli immigrati in Italia: gli abitanti del paese fecero le barricate con i bancali che di solito si usano per sollevare i carichi di vongole e bloccarono per una notte intera l’unica strada d’ingresso al paese per impedire a dodici richiedenti asilo, tutte donne, di arrivare nell’ostello di proprietà della provincia, dove avrebbero dovuto essere accolte per decisione del prefetto di Ferrara Michele Tortora.

Una manifestazione contro l’arrivo di un gruppo di migranti a Gaibanella, nella periferia di Ferrara, agosto 2016. (Filippo Massellani)

Le proteste spinsero il prefetto, dopo alcune ore di stallo, a spostare le donne in altri comuni della zona: Ferrara, Comacchio e Fiscaglia. Un argine, anche simbolico, fu superato, lo stato arretrò di fronte alle barricate di un gruppo di cittadini. All’epoca il ministro dell’interno Angelino Alfano disse che Gorino non era “lo specchio dell’Italia”. Ma non aveva del tutto ragione, perché da quel momento si sono moltiplicati gli episodi simili in tutto il paese. E proprio allora, in quel pezzo di Emilia che lambisce il Veneto, in quella che Zavoli negli anni sessanta aveva definito una “zona di confine”, cominciò l’avanzata della Lega nella regione.

Metodo Gorino
Sanela Nikolic, 34 anni, ancora oggi gestisce l’ostello-bar di Gorino dove per quattro mesi avrebbero dovuto essere ospitate le richiedenti asilo in sei stanze. Dietro al bancone del bar al primo piano di una casa colonica, Nikolic racconta cosa successe quel 24 ottobre 2016. Erano arrivati i carabinieri nel primo pomeriggio per sequestrare l’ostello in piazza della Libertà, perché il pullman con le richiedenti asilo era già sulla strada, racconta. Allora si sparse la voce tra gli abitanti del borgo che si radunarono velocemente davanti all’ostello e poi decisero di fare le barricate.

Nikolic era spaventata: “Avevo paura di perdere la mia attività, io vivo di questo tra mille difficoltà, in certi giorni non guadagno nemmeno cinquanta euro”. Come per tutti gli ostelli e gli alberghi che hanno fornito accoglienza ai richiedenti asilo negli anni scorsi, la prefettura avrebbe pagato l’affitto della struttura. Angela Alvisi ex dirigente dell’Asp di Ferrara ricorda che Nikolic, avvertita al telefono, aveva accettato di ospitare le donne, ma poi, evidentemente spaventata dalle proteste dei concittadini, aveva desistito.

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“Non sapevo che sarebbero arrivate delle donne, in paese c’era molta paura: una ragazza che lavorava con me scoppiò a piangere, perché diceva che gli immigrati sono stupratori”, racconta Nikolic, che è originaria dell’ex Jugoslavia ed è arrivata in Italia da bambina con la sua famiglia proprio per sfuggire alla guerra. “Dicevano che sarebbero arrivate cinquanta o sessanta persone, giravano molte voci false”. A distanza di quattro anni dalla rivolta di Gorino, Nikolic vive ancora in paese con il suo compagno, che è di origine siciliana, e la figlia di due anni.

“Facciamo fatica a portare avanti l’attività, abbiamo avuto anche molta pubblicità negativa e se continua così saremo costretti a chiudere”, racconta. Nella stagione invernale funziona solo il bar: una sala con le pareti arancioni, qualche tavolino in cui i pescatori più anziani si ritrovano per giocare a carte. Una tenda marrone copre l’ingresso della sala slot, nel retro. Il paese non offre altro svago che un paio di bar e un ristorante. Un territorio isolato da sempre, con un’alta percentuale di persone anziane che vivono in villette con il giardino, spesso da sole; poche nascite, alti tassi di abbandono scolastico e un reddito pro capite molto alto. Non è difficile spiegarsi la paura dello straniero, in un territorio dove gli immigrati sono pochissimi. Ma c’è chi pensa che la rivolta del 2016 sia stata organizzata e cavalcata da quello che oggi è uno dei principali esponenti della Lega locale: Nicola Lodi, detto Naomo, attuale vicesindaco di Ferrara.

Per don Francesco Garbellini, parroco di Goro, “a organizzare i famosi blocchi stradali furono attivisti della Lega venuti da Ferrara” e “gli abitanti di Gorino furono strumentalizzati”. La pensa così anche il sindaco di Goro, Diego Viviani, che ha accusato Lodi di aver cavalcato la vicenda per fini politici. Secondo la ricostruzione del giornalista Leonardo Bianchi nel libro La gente, ‘Naomo’ fu chiamato dagli abitanti di Gorino, si catapultò sul posto con tanto di diretta Facebook e prese in mano la situazione, usando tecniche di propaganda già sperimentate qualche mese prima in un’altra rivolta contro i richiedenti asilo, scoppiata a Gaibanella, nella periferia di Ferrara, e al Palaspecchi, sempre a Ferrara, un edificio abbandonato dove vivevano senzatetto e immigrati.

L’ex barbiere di Ferrara
Il “metodo Gorino” in realtà corrisponde al “metodo Naomo”. Nicola Lodi, oggi vicesindaco di Ferrara e segretario della Lega, ex barbiere, soprannominato “lo sceriffo” è stato il candidato più votato alle elezioni amministrative di Ferrara del 2019 che hanno portato la Lega per la prima volta al governo della città, dopo 73 anni di centrosinistra. La saracinesca del suo negozio è sempre chiusa, assicurano i ferraresi, perché ormai Lodi è “il vero sindaco” della città, avendo messo in ombra “con il suo presenzialismo” il sindaco Alan Fabbri.

Già nel 2016 il direttore della Nuova Ferrara Stefano Scansani spiegava la tecnica usata dal segretario provinciale della Lega: “Lodi è diventato un professionista, mette in agenda e a segno la sua guerra lampo anticipando semmai l’intervento programmato dei vigili urbani; avvisa i giornali e, cosa ancora più fruttuosa per la sua immagine, chiama le trasmissioni populiste-sensibili delle tivù private che sappiamo”.

‘Naomo’, che ha preso a prestito il nome da uno sketch del comico toscano Giorgio Panariello, ha costruito la sua fortuna sui social network, riuscendo a imporre la sua agenda alla politica e alla stampa locale con dirette Facebook indirizzate contro immigrati, rom, senzatetto, avversari politici definiti “buonisti”.

Nicola Lodi, detto Naomo, attuale vicesindaco di Ferrara, durante una manifestazione contro i richiedenti asilo a Gaibanella, nella periferia di Ferrara, agosto 2016. (Filippo Massellani)

“La sua vera centrale operativa non sono i mezzi d’informazione tradizionali o le sezioni della Lega, bensì il suo profilo Facebook”, scrive il giornalista Leonardo Bianchi. “Mescolando lo stile di Matteo Salvini e quello del Gabibbo, Lodi documenta il degrado di Ferrara e posta in maniera incessante foto, t-shirt con scritte tipo ‘Più rum, meno rom’, fotomontaggi e infine dirette Facebook. Sono soprattutto queste a rendere efficaci questi video”.

Anche grazie a queste tecniche, l’attuale vicesindaco è riuscito a imporsi sui mezzi d’informazione locali, come mostrato dal rapporto stilato dall’associazione ferrarese Occhio ai media, che in collaborazione con l’associazione Carta di Roma ha monitorato la stampa locale durante i tre mesi di campagna elettorale per le elezioni amministrative del 2019 a Ferrara. Nel rapporto Sono solo parole è emerso che il 72 per cento degli articoli riportati dai giornali sull’immigrazione riguardava la criminalità e la sicurezza (138 articoli su 188 analizzati), nonostante, secondo la prefettura, i reati siano in calo nella città e nella regione.

“Molti degli articoli si concentravano sul quartiere Gad, una zona multietnica vicino alla stazione ferroviaria di Ferrara dove si trova anche l’unico grattacielo residenziale”, raccontano Shahzeb Mohammad, Sonia Riccitiello e Mary Babetto dell’associazione Occhio ai media. Durante la campagna elettorale per le amministrative ben due notizie che riguardavano reati commessi da immigrati nel quartiere Gad sono state riportate con grande risalto dai mezzi d’informazione locali e sono arrivate addirittura ai giornali nazionali, ma alla fine si sono rivelate false.

“In un caso si parlava di un accoltellamento che non c’è mai stato, in un altro caso addirittura di un morto”, raccontano gli attivisti, mostrandomi i titoli dei giornali del febbraio e marzo 2019. “Anche se poi a distanza di giorni viene pubblicata la smentita, non ha mai lo stesso peso e lo stesso impatto della notizia che parla di accoltellamento tra immigrati, risse e ferimenti”, continuano. “In molti casi, abbiamo riscontrato un ruolo attivo dell’attuale vicesindaco che era il primo ad allertare i giornali e in alcuni casi a creare scalpore”.

Il grattacielo
Quando apre la finestra nelle giornate d’inverno vede spesso la nuvola di smog incombere sulla città. “Non è solo nebbia, ha l’odore acre dei fumi di scarico, viene dal petrolchimico”. Rachid Camara è un richiedente asilo originario della Guinea Conakry, ha 29 anni, è arrivato in Italia nel 2016. Studia economia all’università di Ferrara, ha fatto il servizio civile alla Caritas ed è volontario della Croce rossa. “Voglio occuparmi di green economy”, afferma.

Vive al diciassettesimo piano del grattacielo del Gad, vicino alla stazione ferroviaria di Ferrara, l’edificio diventato il simbolo dell’altra Ferrara, quella del “degrado” che nei discorsi dei politici è sempre contrapposta alla città rinascimentale con la sua bellezza eterna. Eppure il centro storico non è lontano. “Vivo qui come decine di altre persone perché costa poco, pago 150 euro per una stanza singola in un appartamento condiviso con altre due persone, do i soldi a un intermediario che a sua volta li dà al proprietario dell’appartamento, che è italiano”, racconta Camara. Nel grattacielo non vivono solo immigrati, ma anche italiani che non possono permettersi affitti troppo alti.

Il ragazzo parla un italiano scorrevole, lo ha imparato molto velocemente perché si è imposto di non parlare francese. “Penso che Ferrara sia la mia seconda città. Non ho mai assistito o subìto alcun episodio di razzismo, non mi sono mai sentito discriminato”. È vero che nel parco sotto casa ci sono spacciatori a tutte le ore: me li indica. Per contrastare la presenza dei pusher, l’attuale amministrazione ha deciso di togliere le panchine dal parco, ma il risultato è che gli spacciatori si sono spostati di qualche metro, sotto al grattacielo, racconta il guineano. “E invece al parco anziani e bambini non sanno più dove sedersi”. Secondo Camara, i giornali e i politici hanno rappresentato la zona come un inferno e invece ci vive “molta gente tranquilla, ma la discriminazione ha toccato tutti”.

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Poi forse la politica dovrebbe fare un ragionamento, incalza, “se ci sono gli spacciatori è perché ci sono molti consumatori locali”. Per il ragazzo guineano la politica si dovrebbe occupare soprattutto di loro. Durante la campagna elettorale per le amministrative a Ferrara si è parlato quasi esclusivamente di quello che succedeva nel quartiere Gad, ma “il Gad non esiste”, argomenta il ricercatore universitario Pietro Pinna, dirigente dell’Arci locale, che nel quartiere organizza cineforum e attività sociali. “Gad è l’acronimo di Giardino, Arianuova, Doro. Tre quartieri completamente diversi: Doro è una zona popolare, mentre Arianuova e Giardino sono due aree più benestanti”.

Lo spaccio riguarda delle zone specifiche, sulle quali, secondo il ricercatore, si è concentrata l’attenzione dell’opinione pubblica durante la campagna elettorale. “Le ragioni sono profonde e in parte hanno a che vedere con la composizione demografica della città. Ferrara è una città dove c’è una sproporzione tra anziani e giovani e sugli anziani fa molta presa una campagna elettorale basata sulla paura. Molte persone sono spaventate dal Gad, senza mai averlo frequentato, e alle elezioni la Lega ha preso più voti non tanto al Gad, quanto in altri quartieri più benestanti”. Secondo Pinna, anche se il centrosinistra ha governato bene la città, ha sottovalutato il senso di isolamento, di abbandono e la paura dei cittadini e soprattutto ha trascurato la richiesta di prossimità che arrivava da certe zone: “Se c’era un problema i cittadini chiamavano direttamente Naomo, invece delle istituzioni”.

A sette mesi dalla sconfitta elettorale del Pd, l’ex sindaco di Ferrara Tiziano Tagliani riconosce di aver frequentato poco le assemblee di condominio dei palazzi che si trovano al Gad e intorno alla stazione ferroviaria della città. “Abbiamo pensato che governare bene la città, tenere i conti a posto e rilanciare il patrimonio artistico bastasse a rassicurare i cittadini, abbiamo sottovalutato le loro preoccupazioni, mentre invece cresceva lo scontento soprattutto in alcune zone periferiche”, ammette. “Dopo sette mesi di governo della città da parte della Lega, possiamo dire però che non vediamo grossi risultati. Non abbiamo registrato cambiamenti, la verità è che non abbiamo visto neppure il bilancio”, accusa Tagliani.

L’attuale sindaco di Ferrara Alan Fabbri riconosce di avere trovato una città con i conti in ordine, “molto forte dal punto di vista del bilancio”, ma dice di aver messo mano ai temi che erano stati trascurati dal suo predecessore: “La sicurezza e i servizi sociali”. Cambiare i vertici della polizia locale, più raid contro i pusher, dotare la polizia municipale di armi, assegnare le case popolari solo a chi risiede nel territorio da molto tempo, circondare i parchi con delle recinzioni, queste sono le ricette che il nuovo sindaco intende realizzare.

Per Fabbri la sconfitta del centrosinistra a Ferrara è legata soprattutto a temi che riguardano la politica nazionale. In particolare ha avuto un grosso impatto sul territorio il fallimento della cassa di risparmio locale, la Carife, e quello che lui definisce “il salvabanche”, il decreto 180 approvato dal governo Renzi nel 2015. “Hanno messo le mani nelle tasche dei risparmiatori, se a questo si somma la questione della sicurezza si capisce perché il Partito democratico nella provincia di Ferrara non ha avuto un risultato positivo”, conclude Fabbri, che negli ultimi giorni ha dovuto affrontare lo scandalo che ha coinvolto il capogruppo della Lega Stefano Solaroli (già noto per il video nel quale si rivolgeva con parole d’amore alla sua pistola), intercettato mentre offriva un posto di lavoro nell’amministrazione alla consigliera leghista Anna Ferraresi, in cambio delle sue dimissioni dal consiglio comunale.

La bella addormentata
Don Domenico Bedin, prete di strada che da sempre si occupa di accoglienza dei migranti e degli emarginati in città, è d’accordo con il sindaco Fabbri: “Negli ultimi anni abbiamo visto peggiorare la situazione economica in città per il fallimento di alcune piccole industrie e della cassa di risparmio locale. La Lega ha fatto emergere il disagio legato ad alcune situazioni marginali nella città e ha cavalcato la paura”. Ma, secondo il sacerdote, con il tempo stanno diventando evidenti alcune contraddizioni, perché l’agricoltura locale ha bisogno di braccianti e fatica molto a trovarne: “Gli imprenditori locali vogliono delle braccia, ma non vogliono delle persone”.

È sempre stato così, continua il prete, “le diverse ondate migratorie hanno prima provocato paura, poi sono state assorbite, è stato così con gli albanesi negli anni novanta, poi con i romeni”. Negli ultimi anni, nel periodo di massimo afflusso nel territorio ferrarese sono stati accolti più di mille richiedenti asilo, mentre al momento nel sistema di accoglienza locale ce ne sono circa settecento.

Alle elezioni europee del 2019 nelle aree rurali dell’Emilia-Romagna la Lega è stata il primo partito, raccogliendo il 45 per cento dei voti, mentre il Pd si è fermato a meno del 25 per cento. I democratici rimangono forti, invece, nelle città. Secondo gli ultimi sondaggi pubblicati a gennaio, il candidato del centrosinistra Stefano Bonaccini avrebbe un vantaggio di misura rispetto alla sfidante della Lega, Lucia Borgonzoni. Così molti si chiedono come sia stato possibile che la regione, considerata la roccaforte della sinistra, sia oggi contesa, e guardano a Ferrara per capire cosa sta succedendo.

Per il sindacalista della Cgil Samuel Paganini l’edificio vuoto della Cassa di risparmio di Ferrara, il palazzo Barbantini-Koch di corso Giovecca, è l’immagine che rappresenta meglio la situazione della città: “L’edificio è ancora pieno di opere d’arte di pregio che facevano parte della collezione della Carife, sono accesi anche i riscaldamenti, ma non ci entra nessuno. Così Ferrara è una città che vive della sua bellezza antica, dei suoi palazzi storici, del suo passato glorioso, ma è una bella addormentata: un territorio in crisi demografica con un’economia stagnante, che si sta chiudendo rispetto all’esterno”.

Prima il terremoto nel 2012, poi nel 2015 il fallimento della Carife e il bail-in mettono a dura prova una popolazione che è la più anziana della regione: “I risparmiatori a Ferrara erano dei vecchietti, non erano degli speculatori. Hanno perso dei soldi, chi poche migliaia di euro chi centinaia di migliaia di euro. Direttamente e indirettamente si è andato a toccare centomila persone, anche se poi si è provato a rimediare, l’effetto è stato un shock, un Vietnam bancario”. Una delle conseguenze è stata la contrazione del credito, in un’economia abbastanza fragile che non ha delle industrie di grandi dimensioni. Vengono in mente le parole del cantautore ferrarese Vasco Brondi nella sua La lotta armata al bar, che si chiede: “Cosa racconteremo ai figli che non avremo di questi cazzo di anni zero?”, leggendo alcuni dati.

“L’indice di vecchiaia a Ferrara è il più elevato dell’Emilia Romagna, gli ultrasettantenni sono il 14,7 per cento della popolazione (il tasso più alto della regione), in compenso però la provincia di Ferrara è quella con meno incidenza di stranieri residenti. Nel 2018 sono nati a Ferrara 1.988 bambini, il numero più basso di tutta la regione, anche gli stranieri che vivono in questa città fanno meno figli”, conclude il sindacalista Samuel Paganini.

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