05 settembre 2018 10:19

Secoli e secoli di erosione hanno fatto del monte Bianco uno dei paesaggi più belli del mondo, fatto di creste acuminate, vette a guglia e massicce colate glaciali. Con i suoi 4.810 metri è la vetta più alta in Europa. Per tanti è l’emblema delle Alpi stesse.

Sono le sette di sera di una giornata di metà luglio quando ci arrivo, il cielo è limpido. Dopo essermi fermato a scattare qualche fotografia, provo a immaginarlo con i versanti spogli di neve, con prati lussureggianti e pendii brulli al posto delle imponenti lingue di ghiaccio, un po’ come se l’intera zona si fosse spostata sui Pirenei, oppure a centinaia di chilometri più a sud.

Per quanto possa sembrare un’idea strana, è ciò che potrebbe accadere tra non molto tempo a causa del cambiamento climatico. A sostenerlo sono gli esperti del centro di ricerca sugli ecosistemi alpini di Chamonix (Crea), che con l’Atlante del monte Bianco – 194 studi fatti da più di sessanta università, laboratori, associazioni, governi – hanno provato a capire come sarà il paesaggio intorno alla vetta del monte Bianco alla fine di questo secolo. Il quadro che emerge è cupo.

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Se, come prevede lo studio, le temperature medie dovessero aumentare di tre gradi entro il 2100, sia il paesaggio sia l’ecosistema del massiccio ne risentirebbero notevolmente.

“È uno scenario, ma è basato su dati scientifici solidi. Molto dipenderà dalla quantità di gas serra – la causa principale del cambiamento climatico – che verrà immessa nell’atmosfera durante i prossimi anni”, dice Anne Delestrade, direttrice del Crea. “Anche se le emissioni calassero drasticamente, gli effetti continueranno a farsi sentire a lungo. In generale, dobbiamo entrare nell’ordine delle idee che le cose cambieranno”.

Le conseguenze per tutti
Il processo di cui parla Delestrade è già in corso. Durante il novecento, le temperature medie sulle Alpi sono aumentate di 1,2 gradi, mentre nel resto dell’emisfero nord del mondo sono aumentate di 0,7 gradi. La stazione meteo che si trova a 4.750 metri di quota, sulle rocce che affiorano dalla calotta glaciale, dal 2015 a oggi ha registrato una temperatura che ha superato più di venti volte lo zero.

Secondo gli esperti, succederà sempre più spesso. “Ci troviamo di fronte a un circolo vizioso”, spiega Edoardo Cremonese, ricercatore dell’agenzia per la protezione ambientale della Valle d’Aosta. “I luoghi che si trovano in alta quota si stanno riscaldando molto più velocemente di quanto si pensasse. Le temperature più alte fanno sciogliere ghiaccio e neve, facendo diminuire l’effetto albedo, cioè la loro capacità di riflettere i raggi solari nell’atmosfera e mantenere la Terra più fredda”.

Se si pensa che il problema riguardi solo il monte Bianco, ci si sbaglia di grosso. Le conseguenze riguardano tutti. Le Alpi sono le riserve d’acqua dell’Europa intera. Riforniscono i più importanti fiumi del continente.

Per capire quanto sia fondamentale il loro ruolo, basta fare l’esempio del Po. Con i suoi 652 chilometri attraversa sette regioni e tocca più di 3.200 comuni. Lungo il suo bacino vivono sei milioni di persone. La sua secca mette a rischio più di un terzo della produzione agricola italiana, così come più della metà degli allevamenti. Lo scioglimento del monte Bianco si riflette anche sulle condizioni del fiume, che a sua volta possono cambiare la vita a milioni di persone.

“L’acqua prodotta dalla fusione della neve e dei ghiacci è fondamentale quando d’inverno non piove tanto”, spiega Cremonese. Visto che i periodi di siccità sono diventati sempre più numerosi, quest’acqua è indispensabile. Ma ce ne sarà sempre di meno.

“Entro il 2050”, dice Cremonese, “in estate le portate dei fiumi, alimentate dalle acque provenienti dalle Alpi, potrebbero dimezzarsi. E le riserve potrebbero esaurirsi prima del previsto. Il che farebbe entrare in conflitto chi ha bisogno di quell’acqua: il settore agricolo, quello industriale e quello civile”.

Gli effetti sul paesaggio
Ci sono anche altri effetti di cui bisogna tenere conto quando si parla dell’impatto del cambiamento climatico sul monte Bianco. Riguardano il paesaggio e sono già visibili.

Dal secondo dopoguerra a oggi, la superficie occupata dai boschi sul massiccio è aumentata del 60 per cento, con un costante rialzo della cosiddetta “linea degli alberi” – l’altitudine massima a cui si possono trovare forme di vegetazione – che ora è fissata a circa 2.250 metri, ma che potrebbe raggiungere i 3.500 già entro il 2050.

“In generale, il fatto che gli alberi possano crescere ad altitudini maggiori non è negativo”, dice Cremonese. “Quello che preoccupa è che, a causa di temperature sempre più miti, si diffondano anche zecche, zanzare tigre e parassiti come la processionaria del pino, che minacciano la flora e la fauna del posto”.

La Mer de Glace, luglio 2018. Il cartello indica il livello del ghiacciaio nel 1990. (Marcello Rossi)

Stanno cambiando anche i 65 ghiacciai del monte Bianco, come dimostra il loro bilancio di massa – ovvero la differenza tra il ghiaccio accumulato dopo le nevicate invernali e quello che si scioglie in estate.

“Avendo effetti sia sulla temperatura sia sulle precipitazioni, il cambiamento climatico fa sì che questo bilancio sia negativo, innescando un processo per cui il ghiacciaio comincia a perdere massa e ad assottigliarsi,” spiega Delestrade. “Ciò rende i ghiacciai una sentinella affidabile delle mutazioni climatiche in atto, specialmente sulle Alpi, dove volumi e superfici sono relativamente ridotti e i cambiamenti avvengono in modo rapido”, dice Delestrade.

Questi cambiamenti, spiega Elena Motta, studiosa della fondazione Montagna sicura, “causeranno la scomparsa di alcune specie che vivono in alta quota”. Inoltre, aggiunge la studiosa, “i pendii saranno più instabili, visto che il permafrost, lo strato di ghiaccio permanente, cederà. È più probabile che si verifichino cedimenti, frane e valanghe”.

L’agonia della Mer de Glace
Per toccare con mano la cosa, una mattina dello scorso luglio sono andato a vedere di persona cosa sta accadendo alla Mer de Glace, il più esteso ghiacciaio del monte Bianco. Come tutti i ghiacciai del gruppo è facilmente raggiungibile: da Chamonix, pochi chilometri oltre il confine che separa Italia e Francia, basta salire su un piccolo treno rosso a cremagliera e in venti minuti si è lì.

Il panorama è unico in Europa: una maestosa e placida lingua di ghiaccio – frutto della confluenza di tre ghiacciai minori – domina l’intera vallata, snodandosi tra lenti pendii e creste rocciose, teatro di imprese alpinistiche leggendarie, ma anche di battaglie sanguinose durante la seconda guerra mondiale.

Per quanto spettacolare, quello di oggi è comunque un paesaggio molto diverso rispetto a quello di qualche decennio fa. All’inizio degli anni ottanta, la Mer de Glace ha cominciato a ridursi inesorabilmente. In poco più di trent’anni, il suo fronte è arretrato di 700 metri, mentre il suo livello si è abbassato di 110 metri. Gli operatori turistici hanno dovuto far costruire una scalinata per portare i visitatori alla base del ghiacciaio. E di anno in anno hanno dovuto aggiungere sempre più gradini.

Un piccolo torrente di acqua nato dalla fusione della neve e dei ghiacci della Mer de Glace, luglio 2018. (Marcello Rossi)

Oggi è la scalinata a essere diventata un’attrazione. “È diventata la scala del cambiamento climatico, in grado di misurare in tempo reale lo scioglimento del ghiacciaio”, dice Jean-Marie Claret, direttore della grotta che ogni anno, da cinquant’anni, è ricreata scavando il ghiaccio sulla Mer de Glace.

Dargli torto è difficile. Percorrere quest’imponente passerella di metallo – che oggi conta circa 480 gradini – è un vero e proprio viaggio nel tempo. Ai lati ci sono dei piccoli pannelli con scritto “Livello del ghiacciaio”, ognuno con una data: 1950, 1990, 2001, 2005, fino all’ultimo, che segna l’anno 2010. Da qui bisogna salire altri 70 gradini prima di mettere piede sul ghiaccio.

“Ci sono stati anni in cui abbiamo aggiunto anche 20 gradini”, spiega Claret, che è stato costretto a scolpire la grotta sempre più in alto e sempre più in profondità, alla ricerca di ghiaccio più stabile. “Prima i turisti venivano a visitare la grotta per ammirare le sculture di ghiaccio e le luci, oggi sono più interessati a scoprire e ad analizzare sul campo gli effetti del riscaldamento globale”, aggiunge, indicando con il dito i grandi teli bianchi messi vicino all’ingresso per riflettere i raggi del sole e limitare lo scioglimento. “Sta diventando sempre più difficile lavorare in queste condizioni”, dice Claret. “Non so quanto sarà possibile andare avanti così”.

La preoccupazione di Claret è comprensibile. Oggi la Mer de Glace si ritira a un ritmo di 30-40 metri all’anno, perdendo tra i 4 e i 6 metri di spessore. E la situazione è destinata a peggiorare: nei prossimi vent’anni, secondo uno studio dell’università francese di Grenoble, potrebbe diminuire di un altro chilometro e mezzo.

Trend comune
Quello che sta succedendo alla Mer de Glace riguarda tutti i ghiacciai del monte Bianco, sia sul versante francese sia su quello italiano. Secondo il Nuovo catasto dei ghiacciai italiani, la superficie che ricoprono in Italia è diminuita del 30 per cento negli ultimi cinquant’anni, passando da 527 chilometri quadrati a 370, mentre il numero totale di ghiacciai è aumentato, a riprova del fatto che si stanno sgretolando in fretta.

Guglielmina Diolaiuti, docente all’università Statale di Milano, coordinatrice del catasto, spiega: “La Valle d’Aosta da sola ospita circa il 36 per cento dell’intera superficie glaciale italiana. Grazie alla sua morfologia ha subìto perdite leggermente inferiori rispetto alla media, pari circa al 26 per cento”. Nel caso del massiccio del monte Bianco, precisa che “la riduzione è stata ancora minore, grazie principalmente all’altitudine media delle sue vette, mai al di sotto dei 3.300 metri”.

Nel 2017 gli arrivi in Valle d’Aosta sono stati più di un milione, un terzo attirati proprio dal monte Bianco

Tuttavia, avverte Diolaiuti, non bisogna farsi trarre in inganno. “I ghiacciai resistono meglio che altrove, ma non significa che dureranno in eterno”, dice. “Nei prossimi decenni le condizioni necessarie per la conservazione delle cosiddette nevi perenni verranno sempre più a mancare: nevicherà di meno in inverno e i periodi estivi e primaverili dureranno di più, mentre aumenterà notevolmente il valore del cosiddetto zero termico, l’altitudine al di sopra della quale la temperatura è generalmente inferiore allo zero”.

In effetti, le previsioni non promettono nulla di buono. Secondo alcuni studi, il gruppo del monte Bianco potrebbe vedere la sua superficie glaciale dimezzarsi o quasi estinguersi entro la fine di questo secolo.

Il turismo
Un ultimo aspetto da considerare parlando dell’impatto del cambiamento climatico in quest’area riguarda il turismo, la prima voce nell’economia della regione. Nel 2017 gli arrivi in Valle d’Aosta sono stati più di un milione, un terzo dei quali attirati proprio dal monte Bianco. Ma le cose sono destinate a cambiare.

“Si scierà meno e a quote più alte”, aggiunge Martin Beniston, docente dell’università di Ginevra che si occupa di cambiamento climatico. Elena Motta prevede che ci saranno conseguenze anche sull’alpinismo e sull’escursionismo d’alta quota.

“Lo scorso agosto raggiungere la vetta del monte Bianco lungo la via italiana era impossibile a causa delle condizioni precarie del ghiacciaio del Dôme”, dice. “Siccome situazioni del genere saranno sempre più frequenti, succederà che alcune zone finiranno per essere più affollate, e altre saranno frequentate sempre meno”.

Che fare? Secondo Beniston la maggior parte dei provvedimenti presi finora sono insufficienti. È il caso della neve artificiale: “Le macchine per produrla sono costose e consumano molta acqua. In più, gli sciatori preferiscono la neve vera. E, mentre le temperature continuano a salire, la loro efficacia si riduce”, dice. “È necessaria una prospettiva di lungo termine, sia per affrontare i problemi legati al turismo sia per confrontarsi con il cambiamento climatico più in generale”, aggiunge.

Cooperazione sul lungo periodo
La programmazione sul lungo periodo è il cuore di AdaPt Mont-Blanc, un progetto di cooperazione tra Italia e Francia. “Prevede che tecnici, politici e persone che vivono nell’area si siedano allo stesso tavolo e discutano le strategie da adottare per rispondere alle sfide a cui si va incontro”, spiega Elena Motta di Montagna sicura.

Dalle prime riunioni sono emersi due punti critici. Il primo riguarda la gestione del rischio valanghe. “Come la maggior parte delle località sciistiche europee, anche quelle del monte Bianco si sono sviluppate in valli su cui incombono le montagne. La fusione del permafrost, insieme all’aumento di fenomeni estremi causati dai cambiamenti climatici, aumenta il rischio di slavine spontanee, anche di grandi dimensioni”, dice Motta. “Per questo, nei prossimi anni la previsione e la valutazione delle condizioni meteorologiche e dello stato di stabilità delle masse nevose dovranno diventare un punto fermo della pianificazione territoriale, soprattutto nelle aree più popolate”.

Il secondo punto riguarda l’aumento dei turisti in estate. “Ci saranno sempre più persone. È un trend a cui stiamo assistendo già da qualche anno”, spiega Motta. “La sfida è doppia. Da un lato, i rifugi non dovranno solo ospitare le persone, ma informarle sui rischi in alta quota, soprattutto perché la maggior parte di loro avrà appena cominciato a venire in montagna. Dall’altro, dovranno trovare il modo di non restare senza acqua, com’è successo l’anno scorso al rifugio Gonella, che ha dovuto chiudere in piena stagione turistica. Per evitare che questo accada, bisognerà realizzare cisterne per la raccolta, ma anche sistemi per il recupero”.

In ogni modo, come sarà il monte Bianco di domani resta da vedere. Quello che è ancora oggi, nel cuore e nella testa di molti, lo aveva capito bene il poeta inglese Percy Bysshe Shelley già nel 1816, quando, dopo averlo visto per la prima volta, scrisse: “Non avevo mai immaginato prima cosa fossero le montagne”.

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