04 maggio 2019 10:02

Ventotto giornalisti raccontano la campagna elettorale nel proprio paese in vista delle elezioni europee del 26-29 maggio 2019. La serie è realizzata in collaborazione con VoxEurop.

Alla vigilia delle elezioni per il nuovo parlamento europeo, un gruppo di storici europei ha inviato una lettera aperta all’opinione pubblica con un messaggio drammatico: il progetto europeo è in crisi e si sta sgretolando. Secondo gli storici il concetto degli stati-nazione, dominante in passato, non è più sostenibile; abbiamo bisogno di riconoscere il nostro pluralismo e non abbandonare il principio dell’unità.

Nessun politico si è lasciato sfuggire l’occasione. Il presidente francese Emmanuel Macron ha inviato a sua volta una lettera aperta ai cittadini europei invocando un “rinascimento europeo” e una lotta contro “il nazionalismo che sfrutta la rabbia dei cittadini”.

Le due lettere vorrebbero spingere gli elettori ad andare a votare. Che accada davvero, però, è tutto da vedere, soprattutto negli stati dell’Europa orientale. Alle elezioni europee del 2014, per esempio, in Croazia l’affluenza è stata una delle più basse d’Europa, appena superiore al 25 per cento. Ancora peggio era andata in Repubblica Ceca (18,20 per cento) e in Slovacchia (13,05 per cento, il dato più basso). Polonia e Ungheria avevano registrato un’affluenza appena superiore, rispettivamente il 23,83 e il 28,97 per cento. In tutti questi paesi la partecipazione elettorale è stata largamente inferiore a quella dei paesi occidentali. Ma perché gli elettori dell’est non sono motivati ad andare a votare?

Tra i perdenti
La verità è che da queste parti l’Unione europea viene considerata soprattutto come un “gendarme” il cui compito è quello di allertare i diversi paesi in casi di corruzione, incapacità della magistratura o altre irregolarità. Nel campo dei finanziamenti europei la Croazia figura tra i perdenti, per un motivo evidente: molte persone non conoscono i meccanismi dei finanziamenti europei e di conseguenza il paese non riesce a goderne appieno i benefici. Inoltre l’Ue non è molto popolare perché è diffusa l’impressione che invece di sostenere la democratizzazione, lo stato di diritto e la lotta alla corruzione nell’Europa centrale l’Unione abbia scelto la via della stabilità accettando di collaborare con i regimi corrotti e autoritari.

Altri problemi non sono legati tanto alle circostanze esterne quanto alla psicologia. In generale agli europei dell’est non piace votare e raramente decidono di uscire di casa per recarsi alle urne. Questa tendenza si conferma anche in occasione delle elezioni nazionali quando si sentono chiamati direttamente in causa, mentre l’Ue appare enorme e lontana. In Croazia l’affluenza alle elezioni legislative del 2016 ha raggiunto il 52,59 per cento.

La palese sfiducia nei confronti dell’élite politica e della democrazia è un fenomeno comune anche in altri paesi dell’Europa orientale

Dobbiamo pensare che gli elettori croati siano pigri? In realtà è più probabile che non vedano alcun senso nel voto. Dalla prospettiva di un normale elettore, la “persona comune”, l’esperienza di quasi un trentennio vissuto in una democrazia come quella croata lascia una sensazione precisa: votare o non votare, non cambia assolutamente nulla. I partiti sono tutti uguali e sono tutti schierati contro le persone comuni. Fanno solo promesse e quando ottengono il potere cominciano a comportarsi in modo totalmente diverso rispetto a prima. Rubano e mentono.

Un guscio vuoto
Questa palese sfiducia nei confronti dell’élite politica e della democrazia è un fenomeno comune anche in altri paesi dell’Europa orientale. La cosa peggiore è che i cittadini hanno ragione. Alcuni sistemi politici sono considerati democratici e presentano le istituzioni democratiche di base, ma le funzioni del potere sono le stesse dei vecchi sistemi autoritari. La democrazia, in sostanza, è soltanto un guscio vuoto.

In un sondaggio dell’Eurobarometro, il 79 per cento degli intervistati in Croazia ha dichiarato di non avere alcuna fiducia nei partiti politici, mentre il 64 per cento non è soddisfatto dal funzionamento della democrazia nel proprio paese. È questo che spinge gli elettori a non votare. I croati pensano che il voto sia una procedura a cui nessuno è tenuto a partecipare se non obbligato. Non possiamo dimenticare che in questa parte del mondo la democrazia non ha mai trionfato e non è facile sbarazzarsi di tradizioni politiche autoritarie, soprattutto sul piano psicologico, e questo si riflette anche sull’affluenza alle urne.

Il sistema può cambiare da un giorno all’altro, ma non le abitudini, le tradizioni e tutto ciò che definiamo come la mentalità di un paese

Molti abitanti degli ex paesi socialisti tendono a scegliere leader forti. In un processo democratico bisogna prestare attenzione alle varie idee e ai vari programmi, analizzare le argomentazioni e prendere una decisione. La democrazia è complicata. Credere ciecamente in un leader è molto più semplice, perché non c’è bisogno di fare nulla. In Europa orientale Vladimir Putin è diventato sempre più popolare, così come Viktor Orbán e Jarosław Kaczyński. L’emergere della democrazia illiberale era imprevedibile ed è estremamente preoccupante che sia un frutto della democrazia.

La differenza sostanziale tra est e ovest nell’approccio al voto l’ha messa in evidenza un recente sondaggio dell’Eurobarometro secondo cui oltre la metà degli slovacchi non ha intenzione di votare per le europee perché ritiene che la voce del popolo “non ha alcun peso”. Al contrario, secondo lo stesso sondaggio gli elettori danesi sono convinti che la loro voce non solo sia importante, ma che esprimerla sia un dovere.

Tutti quelli che pensavano che nel 1989 gli stati socialisti fossero cambiati abbastanza da modificare il proprio sistema politico e completare con successo la trasformazione della società, sono rimasti delusi. Nessuno aveva preso in considerazione il fattore temporale. Il sistema può cambiare da un giorno all’altro, ma non le abitudini, le tradizioni e tutto ciò che definiamo come la mentalità di una regione o di un paese come la Croazia. Il sociologo Ralf Dahrendorf scriveva che servono sei mesi per cambiare un sistema politico, sei anni per cambiare il sistema economico e sessant’anni per cambiare la società.

È per questo che le elezioni europee nei paesi dell’est saranno particolarmente interessanti. In Croazia l’affluenza non sarà solo un indicatore significativo, ma anche la risposta a una delle problematiche più pressanti in questa tornata elettorale: l’avanzata della destra nazionalista in tutta Europa. La svolta autoritaria preoccupa i croati? O preferiscono contribuire all’affermazione della destra nell’Unione? Se il futuro dell’Europa dipende dagli elettori in Croazia e in Europa dell’est, allora non è davvero roseo.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Ventotto giornalisti raccontano la campagna elettorale nel proprio paese in vista delle elezioni europee del 26-29 maggio 2019. La serie è realizzata in collaborazione con VoxEurop.

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