29 maggio 2015 17:49

André Kertész (1894-1985) è stato un maestro indiscusso che ha definito il linguaggio che ancora oggi viene usato in fotografia. Per tutta la sua vita ha lavorato su temi e concetti, ritornandoci costantemente per perfezionare e migliorare le sue riflessioni.

Il lavoro Surveillance, messo insieme per la prima volta dalla galleria Bulger di Toronto, si basa su una contrapposizione tra un uomo che guarda da lontano e le immagini che crea, così profonde e intime, da diventare testimonianza di ciò che osserva. Queste foto rappresentano in un certo senso la personalità da outsider di Kertész, che per gran parte della sua vita si sente circondato dalla solitudine.

Nato a Budapest, in Ungheria, da una famiglia ebrea borghese, dopo il diploma all’Accademia commerciale si arruola nel 1915 nelle file dell’esercito austroungarico. Durante la guerra comincia a fotografare le trincee e tornato a casa continua a coltivare questa passione. Nel 1925 lascia l’Ungheria, provata e impoverita dalla prima guerra mondiale, e va a Parigi. Qui frequenta Man Ray, Robert Capa, Berenice Abbott e diventa un grande amico del collega Brassaï. Kertész conosce il successo a Parigi e nel 1936 parte per New York, in cerca di nuove idee, dove rimane per il resto della sua vita. Collabora per riviste come Look, Harper’s Bazaar e Vogue, pubblica libri e gli vengono dedicate diverse mostre personali.

Nonostante la fama, il fotografo ha sempre sofferto la lontananza dalla famiglia, dall’Ungheria, sviluppando sia a Parigi che a New York un costante distacco, e isolandosi sempre di più. Anni dopo la fine della seconda guerra mondiale, si rifugia nell’appartemento del Greenwich village armato di telescopio e obiettivi zoom per osservare le persone che lo circondano senza uscire. Da questa distanza di sicurezza, Kertész costruisce un nuovo mondo intorno a lui e trasforma il voyeurismo in forma d’arte.

La mostra Surveillance resterà aperta fino al 20 giugno 2015 presso la galleria Bulger di Toronto, in Canada.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it