Avevo lasciato i Non voglio che Clara al 2010, quando uscì Dei cani, il loro disco a cui sono più affezionata. Quasi convinta, come a volte accade, che dei dischi debbano restare intrappolati in una specie di capsula temporale in cui non potranno più crescere o subire nessuna obsolescenza o evoluzione. Questo sistema di protezione fa sì che se riascolto il brano Il tuo carattere e il mio dopo tredici anni precipito davvero in un altro tempo e in un’altra forma di coscienza. E così dimenticare le canzoni amate è un dispositivo per diventare stranieri a se stessi o abbandonarsi in una dimensione parallela, in cui le ferite subite si rinnovano ma non fanno più male. E resta solo una ragnatela di segni iridescenti sulla pelle da contemplare, quasi un’opera d’arte nel museo che si è diventati.

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Adesso ascolto il singolo Lucio, legato alla colonna sonora di Il compleanno di Enrico del regista Francesco Sossai, e sorrido per i riferimenti alla festa dei diciotto in cui si guida a fari spenti come Lucio (ulteriore dimostrazione che Battisti è l’inconscio tutto in superficie della musica italiana, sia quando ispira dischi di ricerca sia quando ispira il pop più nostalgico da falò, un santo capace di proteggere più di una stagione). In attesa del nuovo disco MacKaye, in uscita tra poco, in Lucio i Non voglio che Clara riescono a tenere insieme i sentimenti costitutivi della giovinezza a cui si riferiscono: la spensieratezza poetica e ripetitiva, il coro spettrale che insinua dubbi d’imperfezione, un’esaltazione power pop che precede il buio che ti fotte, e lo strano modo di andarsene via. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1538 di Internazionale, a pagina 94. Compra questo numero | Abbonati