Forse le vittime, se avessero voce, dovrebbero porre un’unica domanda: perché ci avete immolato? Ci sarebbe un bel po’ di imbarazzo e un confusissimo farfugliare. Già, perché le abbiamo immolate? Perché un qualche dio ha voluto, vuole e vorrà sempre olocausti e ostie. Per colpirne migliaia ed educarne milioni. Perché quella che ritenete casa vostra è invece indiscutibilmente casa nostra. Perché noi siamo civili e voi no. Perché il sangue, l’odio e le guerre sono l’eterno banco di prova dei forti destinati al governo del pianeta. Balbettii folli, insomma. Tra i quali anche: vi abbiamo immolato perché più crescono i numeri del massacro, meglio si arriva a una qualche pace che almeno per un po’ tenga in equilibrio il mondo. Cosa che di fatto significa: vi abbiamo sacrificato per niente, siete stati massacrati perché non sappiamo fare altro che potenziare l’anti, rafforzare il pro e passare da una finta pace a una vera guerra, da una vera guerra a una finta pace. Vera guerra poi bisogna vedere. Le guerre i militari le fanno ormai davanti agli schermi: a debita distanza, si distruggono case e cose, si sterminano civili. Nell’era inaugurata in gran pompa da Hiroshima e Nagasaki e perfezionata dalla tecnologia digitale sono in massima parte gli inermi ad agonizzare e bruciare tra le rovine. Chi ne ammazza o ne storpia di più, guadagna punti. Il resto è ipocrisia.

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Questo articolo è uscito sul numero 1535 di Internazionale, a pagina 18. Compra questo numero | Abbonati