È probabile che nelle prossime settimane nessuno di noi, all’occasione, si sottrarrà a frasi tipo: sì, la società italiana è affetta da sonnambulismo, non siamo più capaci di affrontare il mondo da svegli, ce ne andiamo in giro inabissati nell’ipertrofia emotiva. Naturalmente non c’è niente di male, il Censis usa la metafora del sonnambulismo per comunicarci dati serissimi. Il problema, caso mai, è il solito abuso mediatico delle etichette, specialmente quando le appiccichiamo a realtà complesse. Per capirci, forse andrebbe evitata la sonnambulizzazione di tutti i discorsetti di questo nero periodo, il profluvio di frasi come: italiani, finiamola con le scossette emotive nel sonno, tiriamoci fuori dalla letargia, diamo la sveglia al sopito calcolo raziocinante, evitiamo che il russare della ragione generi mostri, torniamo all’imprenditorialità devastatrice dei nostri avi insonni. Sarebbe seccante, insomma, se “sonnambulo” arrivasse a un tale livello di inflazione che, per spiegarsi col m edico, bisognerà dire: ho quella cosa che uno se ne va in giro per casa con gli occhi chiusi e le braccia tese. O che, se per Natale si regala a un conoscente I sonnambuli (1931-32) – strepitoso romanzo di Hermann Broch organizzato in ben tre romanzi, dove si impara molto su ciò che succede nei singoli quando i mondi si sfasciano – il conoscente pensa: oh no, ancora il Censis.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it

Questo articolo è uscito sul numero 1541 di Internazionale, a pagina 14. Compra questo numero | Abbonati