02 marzo 2016 15:22

La gente è arrabbiata nella Silicon valley. Negli ultimi anni, durante le proteste sono state tagliate le gomme degli autobus che trasportano i dipendenti di Google, è stato occupato il quartier generale di Airbnb e sono state organizzate manifestazioni in tutto il mondo contro Uber.

Le grandi aziende di tecnologia sono accusate di distruggere attività economiche e di accumulare ricchezza senza distribuire vantaggi significativi alla società. E sono colpevoli, secondo Douglas Rushkoff, teorico dei mezzi di comunicazione e autore del libro Throwing rocks at the Google bus: how growth became the enemy of prosperity (Lanciando pietre contro l’autobus di Google: come la crescita è diventata il nemico della prosperità).

Rushkoff sostiene che se i princìpi fondamentali della Silicon valley non cambieranno, dobbiamo aspettarci nuove proteste. Sottolinea anche che la teoria economica di base, per come è stata definita dal filosofo ed economista Adam Smith, riconosce tre fattori di produzione: la terra, il lavoro e il capitale. Ma oggi, nell’economia digitale, viene valorizzato solo il capitale.

“Chi può investire un capitale di rischio mette sul tavolo i suoi soldi ed è l’unico che ottiene qualcosa in cambio”, sostiene Rushkoff. “Il territorio non ci guadagna: i quartieri dove si trovano le stanze affittate con Airbnb non ricavano nessun beneficio dall’attività. Gli autisti di Uber non ottengono niente in cambio: sono solo dei disoccupati in cerca di un lavoretto per tirare avanti un giorno di più”.

È un modello che non funziona più quando si arriva al limite delle risorse del pianeta, del tempo e della soglia di attenzione delle persone

Le startup di oggi puntano a una crescita rapida e massiccia, in modo da poter essere comprate e garantire agli investitori un rendimento sul loro capitale. Questo sistema imprenditoriale si è imposto nell’ottocento con l’età industriale, ma secondo Rushkoff non può essere sostenuto ancora a lungo.

“È un modello che non funziona più quando si arriva al limite delle risorse del pianeta, del tempo e della soglia di attenzione delle persone”, dice Rushkoff. “Negli ultimi 75 anni, la capacità delle grandi aziende di fare soldi con i loro soldi è scesa”.

E aggiunge che il modello economico di molte importanti aziende di tecnologia è volutamente insostenibile. Amazon e Uber distruggono il mercato in cui operano e poi usano il loro potere per spostarsi in un altro settore. Quindi anche se Amazon non trae grossi guadagni dai libri, l’industria editoriale è comunque stravolta e la cosa non la preoccupa, visto che ormai ottiene il grosso dei suoi profitti da altri prodotti.

“Il modello di Uber non potrebbe funzionare come attività di taxi sul lungo periodo perché tutti gli autisti, molto semplicemente, fallirebbero”, sostiene Rushkoff. “Ma l’obiettivo di Uber è un altro: l’azienda vuole creare un monopolio nel settore dei taxi in modo da passare poi a qualcos’altro, come la logistica, le consegne, i droni o le auto senza conducente”.

Idee per salvare l’economia digitale

Poi ci sono le aziende come Tumblr, venduta a Yahoo per un miliardo di dollari nonostante abbia generato guadagni relativamente bassi (Yahoo ha poi ammesso di aver pagato un prezzo eccessivo per la piattaforma di blogging). “Tumblr in realtà non faceva niente, quindi non c’era un vero business”, secondo Rushkoff. “Di che si tratta in questo caso, di un successo o di un fallimento? Di sicuro è un successo per l’investitore, che ha guadagnato un miliardo di dollari”.

Un tempo Google era un motore di ricerca innovativo, continua Rushkoff. Ma da quando si è trasformato in Alphabet è diventato una holding che compra e vende aziende tecnologiche. Rushkoff è scettico anche nei confronti di Facebook, perché per soddisfare le sue promesse di crescita dovrà ottenere profitti altissimi dalla pubblicità.

Rushkoff propone una serie di misure per salvare l’economia digitale. Prima di tutto, ritiene che servano più piattaforme peer-to-peer come eBay, Etsy e Kickstarter. Aziende di questo tipo distribuiscono in modo efficace i mezzi di produzione e permettono alle persone di fare affari tra loro. Sostiene anche che i lavoratori del settore tecnologico devono ricevere salari adeguati al costo della vita e che dovrebbero possedere una quota, anche minima, delle aziende per cui lavorano. Le startup devono fare di più per condividere i frutti del loro successo. Si arriverebbe così a una prosperità sostenibile, grazie alla quale le aziende potrebbero aumentare il benessere dei dipendenti e delle zone in cui operano, permettendo maggiori investimenti e maggiore crescita.

Rushkoff ha già dimostrato di essere lungimirante sul futuro digitale. Nel 1994 aveva descritto i viral media ed è a lui che si attribuisce l’invenzione dell’espressione “nativi digitali”. Nel 1992 aveva anche scritto un libro su internet, che all’inizio fu rifiutato perché l’editore riteneva che il fenomeno della rete sarebbe finito nel 1993.

Stavolta, a suo avviso, i dirigenti della Silicon valley sembrano sensibili a modelli economici alternativi e stanno cercando un modo per essere più sostenibili.

“Nei prossimi dieci anni servirà un significativo passo verso quella direzione, oppure ci troveremo in brutte acque”, spiega.

Che tipo di brutte acque?

“Più o meno un mondo dove tutti lavorano dalle 16 alle 20 ore al giorno per uno stipendio molto basso, svolgendo lavori ripetitivi che, per un motivo o per un altro, i computer non sono in grado di fare”, è la risposta di Rushkoff. “E queste saranno le persone fortunate, perché almeno avranno un lavoro”.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è uscito su Quartz.

This article was originally published in Quartz. Click here to view the original. © 2015. All rights reserved. Distributed by Tribune Content Agency.

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