22 giugno 2016 09:42

In Messico già da diversi mesi i rapporti tra il governo e gli insegnati sono particolarmente tesi. Ma dopo gli scontri del 18 e 19 giugno nello stato meridionale di Oaxaca (otto morti e un centinaio di feriti) la situazione è ulteriormente peggiorata.

Questi fatti, sulla cui responsabilità i due schieramenti si accusano a vicenda, hanno avuto luogo dopo una settimana ininterrotta di manifestazioni e di blocchi stradali che hanno rallentato la circolazione su una delle principali vie di comunicazione tra Oaxaca e la capitale Città del Messico.

All’origine della protesta dei docenti c’è il progetto di riforma dell’istruzione lanciato dal presidente Enrique Peña Nieto, una riorganizzazione che dovrebbe introdurre un nuovo metodo di valutazione, ma che per molti equivale a una privatizzazione e a un espediente per procedere a dei tagli negli effettivi.

L’ultima ondata di proteste è stata provocata dall’arresto di diversi dirigenti del Coordinamento nazionale dei lavoratori dell’educazione (Cnte), una corrente radicale del Sindacato nazionale degli insegnanti messicani (Snte).

L’appello alla calma
Il 20 giugno la Cnte ha condannato l’uso della violenza e ha denunciato apertamente la responsabilità dello stato. “L’istruzione è l’unica arma del popolo. Quelli del governo sono degli strumenti di morte e di repressione. Chi è il criminale?”, ha affermato il sindacato su Twitter.

Dopo aver espresso la sua solidarietà alle famiglie delle vittime e alle persone ferite, Peña Nieto ha preferito rimanere sulla difensiva e ha promesso che le autorità condurranno un’inchiesta approfondita, cosa che per Telesur rappresenta “un tacito riconoscimento” della responsabilità delle forze dell’ordine.

In un editoriale, El Universal lancia appello alla calma, anche se il contesto attuale non favorisce di certo la distensione. “Tuttavia un clima più sereno è necessario per il paese se non vuole ricadere nel circolo vizioso della violenza come è successo nel 2006”.

(Traduzione di Andrea De Ritis)

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