29 luglio 2016 14:18

L’aumento delle temperature potrebbe costare all’economia globale duemila miliardi di dollari entro il 2030.

Secondo un nuovo studio, il caldo crescente renderà più difficile svolgere il proprio lavoro, soprattutto nei paesi poveri. Si trovano nella situazione peggiore le persone che hanno salari bassi e svolgono impieghi all’esterno, per esempio quelle che lavorano nell’edilizia e nell’agricoltura.

I ricercatori, guidati da Tord Kjellstrom dell’Health and environment international trust, in Nuova Zelanda, hanno realizzato delle proiezioni sulla riduzione del pil associata all’aumento delle temperature per 43 paesi, combinando dati ambientali e modelli statistici. I risultati della ricerca sono stati pubblicati sull’Asia-Pacific Journal of Public Health.

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Entro il 2030, India e Cina insieme rischiano un calo di produzione pari a 450 miliardi di dollari. Le economie dei paesi più ricchi, per esempio quelle di Giappone e Regno Unito, non sembrano invece risentire della situazione. Solo gli Stati Uniti hanno registrerebbero una contrazione dello 0,2 per cento del pil.

Asia e Africa sono destinate a soffrire di più, ha spiegato Kjellstrom alla rivista Bloomberg. Il caldo estremo nel sudest asiatico sta già facendo dimininuire del 15-20 per cento le ore di lavoro annue, e questa percentuale potrebbe raddoppiare entro il 2050, con l’aggravarsi del riscaldamento globale. In Malesia, per esempio, nei giorni o nei periodi più caldi dell’anno il lavoro rallenta o si arresta del tutto per scongiurare rischi per la salute.

Accorgimenti come spostare gli orari di lavoro e usare di più l’aria condizionata potrebbero rendere le persone meno tolleranti alle alte temperature, avvertono i ricercatori. E questo a sua volta farebbe lievitare i costi. In una città come Bangkok, per esempio, per ogni grado della temperatura esterna si consumano 2000 megawatt extra di energia, che è più o meno la potenza di una centrale elettrica di grandi dimensioni.

Nel 2015 più di 190 paesi hanno stretto un accordo per contenere l’aumento della temperatura globale media rispetto all’epoca preindustriale “ben al di sotto” di due gradi centigradi, e si sono impegnati a “fare il possibile” per fermarsi a 1,5 gradi. Grandi paesi come la Cina però non hanno ancora ratificato l’accordo.

(Traduzione di Nicoletta Poo)

Questo articolo è uscito su Quartz.

This article was originally published in Quartz. Click here to view the original. © 2016. All rights reserved. Distributed by Tribune Content Agency.

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