04 febbraio 2017 12:30

Il 28 gennaio 2017 Donald Trump ha invitato Stephen Bannon, già consulente strategico del presidente, a far parte del Consiglio nazionale per la sicurezza, un posto normalmente riservato a esperti militari.

Le elezioni presidenziali statunitensi sono passate da pochi giorni e la normalizzazione di Donald Trump è già cominciata. I mezzi d’informazione riferiscono con sollievo che forse Trump non vuole costruire un muro lungo tutto il confine con il Messico, ma una combinazione di muro e recinzioni. O che risparmierà un paio di capitoli della riforma sanitaria voluta dal suo predecessore Barack Obama. Da alcuni giorni si parla anche della nuova vita della futura famiglia presidenziale: si è scritto che Trump continuerà a trascorrere i fine settimana a New York, e che suo figlio è sembrato molto assonnato quando, alle tre di notte, il padre ha tenuto il discorso di accettazione della presidenza.

Anche i nomi di chi occuperà i ruoli chiave della prossima amministrazione sono annunciati come se fossero una cosa normale. Come capo del suo staff Trump ha scelto il repubblicano Reince Priebus, 44 anni, che avrà compiti amministrativi e coordinerà gli uffici del presidente. Come consulente strategico invece il presidente eletto ha voluto accanto a sé Stephen Bannon, esponente di punta della alt-right (alternative right, l’estrema destra) e già responsabile della sua campagna elettorale.
Ma la nomina di Bannon non è affatto una cosa normale. Con lui entra nei ristretti circoli del potere un uomo che non ha mai fatto mistero di voler distruggere il governo di Washington e rimpiazzarlo con un movimento nazionalista. Il fondato timore è che Trump continuerà ad ascoltare i consigli di Bannon anche ora che è diventato presidente.

L’influenza di Bannon traspare già dal comunicato stampa rilasciato dalla squadra di Trump, in cui il consulente strategico viene citato come figura istituzionale di spicco prima ancora di Priebus. Trump, infatti, ha bisogno di Bannon. È riuscito a battere la rivale democratica Hillary Clinton, ma ora ha inizio una nuova fase per la quale non ha ancora un piano. A questo penserà Bannon. Già durante la campagna elettorale è stato il principale ideologo dell’avanzata di Trump, che ha un debole per quest’uomo disciplinato, intelligente ed estraneo all’ambiente di Washington proprio come lui.

La postazione da cui finora ha tessuto la sua trama è il sito di informazione di destra Breitbart News

Priebus, che finora è stato presidente del comitato nazionale repubblicano, una sorta di segretario del partito, ha buone relazioni nel congresso e con il presidente della camera Paul Ryan, che Trump e Bannon disprezzano perché in campagna elettorale ha preso le distanze dal candidato repubblicano. A Priebus, che in teoria dovrebbe essere il secondo uomo più potente della Casa Bianca, rimarrà solo il ruolo dell’amministratore che manda avanti la detestata macchina politica.

Per quanto tempo? Almeno fino a quando Bannon non avrà raggiunto il suo obiettivo: trasformare il Partito repubblicano in un partito etno-nazionalista e distruggere l’“agenda globale” repubblicana basata sul libero commercio e su politiche migratorie moderate. Fino a che non avrà fatto piazza pulita delle élite. Gli strumenti per la sua crociata li ha magistralmente messi a punto negli ultimi anni: razzismo, antisemitismo, odio per l’establishment.

Un nemico per tutti
La postazione da cui finora ha tessuto la sua trama è il sito di informazione di destra Breitbart News. Bannon lo dirige da quattro anni e lo ha trasformato in una piattaforma per tutti gli statunitensi bianchi che si sentono, o hanno cominciato a sentirsi, stranieri nel proprio paese. Non ha temuto di mostrarsi vicino ai neonazisti o al giovane movimento alt-right nato nelle chat su internet e ossessionato dalla virilità e dai “privilegi dei bianchi”.

Sul suo sito Bannon è riuscito a far convergere la rabbia dell’estrema destra, finora completamente disorganizzata, verso l’islam, gli omosessuali, gli ebrei e la società liberale. Su Breitbart il femminismo è paragonato al cancro e Obama è accusato di aver “importato” negli Stati Uniti sempre più musulmani “colmi d’odio”. Le notizie hanno titoli come: “Clandestino già rimpatriato in passato viene filmato mentre distrugge un manifesto elettorale di Trump”; “La polizia mette in guardia contro un’escalation di stupri a Malmö dovuti alla presenza di immigrati”; “Immigrato siriano accusato di pluriomicidio con fucile d’assalto”.

Con Breitbart, Bannon ha creato una piattaforma che unisce tutti contro un unico nemico: la classe politica di Washington. E in Donald Trump ha visto lo strumento con cui rovesciare l’establishment repubblicano.

A ottobre Breitbart ha avuto 37 milioni di visitatori. Eppure l’influenza esercitata dal sito continua a essere sottovalutata dai mezzi d’informazione tradizionali. Per la società di analisi Newswhip, Breitbart è la principale fonte dei contenuti politici pubblicati sui social network in tutto il mondo. Gli articoli di Breitbart sono più letti di quelli di New York Times, Washington Post e Wall Street Journal messi insieme. Tra maggio e giugno più di nove milioni di persone hanno letto o condiviso articoli di Breitbart su Facebook e Twitter. Il Washington Post arriva a 3,3 milioni di utenti, il Wall Street Journal a 2,9. Il New York Times non è nemmeno tra i primi venti.

Di fronte a questi numeri non sorprende che la maggioranza degli elettori di Trump pensi ancora che Barack Obama sia musulmano. Durante la campagna elettorale, Breitbart è stato per Trump quello che la National Review era stato per Ronald Reagan o Fox News per George W. Bush. Ora diventerà la voce ufficiale dell’amministrazione Trump? Una macchina propagandistica del futuro che con campagne diffamatorie, bugie, mezze verità e tirate contro il senso comune detterà la rotta ai mezzi d’informazione tradizionali?

E l’Europa sarà più preparata ad affrontare il fenomeno? Breitbart progetta di espandersi a Parigi e a Berlino. Dal 2014 il sito ha un ufficio a Londra, che ha contribuito alla vittoria del leave al referendum sull’uscita del Regno Unito dall’Unione europea. Il direttore della redazione londinese è stato uno stretto collaboratore di Nigel Farage, il leader del partito euroscettico di destra Ukip.

Bannon non vuole cambiare solo gli Stati Uniti. Vuole creare un movimento mondiale mettendo insieme i partiti e i gruppi nazionalisti accomunati dall’odio per le élite globali. Le elezioni che si terranno nel 2017 in Francia, Germania e Paesi Bassi rappresentano i prossimi fronti di questa battaglia. In una delle sue rare interviste, Bannon ha dichiarato: “La politica statunitense è cambiata in modo fondamentale. In tutto il mondo le persone vogliono più controllo sulla loro terra, sono orgogliose della loro patria. Vogliono i confini. Vogliono la sovranità. Il nostro movimento è solo l’inizio”.

Il fuoco della patria
Nell’ultimo anno Bannon ha dimostrato di padroneggiare abilmente tutti i mezzi della propaganda. Il New York Times e il Washington Post hanno pubblicato in prima pagina lunghi articoli sulla fondazione di Hillary Clinton e sulle sue discutibili pratiche finanziarie. Alla base delle inchieste c’era il libro Clinton cash, commissionato dal milionario Bannon. A scriverlo è stato uno storico del Governement accountability institute, l’istituto di ricerca fondato e finanziato dallo stesso Bannon. Il suo calcolo è stato che gli attacchi di quotidiani autorevoli avrebbero conferito maggiore credibilità a quelli di Trump e Breitbart. Il New York Times e il Washington Post hanno contribuito a seminare il dubbio, e Trump e Breitbart hanno raccolto i frutti. Perfino l’Fbi ha usato il libro per le indagini sulla Clinton foundation. Le accuse non sono mai state provate, ma sono state più che sufficienti per danneggiare l’avversaria di Trump.

Incontrando Stephen Bannon di persona si resta sorpresi prima di tutto dai suoi modi sommessi e riservati, che contrastano con la sua statura e la sua figura massiccia. Con il ciuffo biondo cenere spettinato e la barba di tre giorni, sembra sempre un po’ trasandato. Bannon ha servito nella marina statunitense, ha lavorato al Pentagono e ha studiato a Harvard. Ha fatto molti soldi, con Goldman Sachs prima e a Hollywood poi. Ha lavorato con Sean Penn ed è tra i produttori di Seinfeld, la serie tv di successo per la quale ancora oggi incassa ricche percentuali.

Bannon sentiva che gli Stati Uniti non avevano più eroi né valori in cui credere. Gli attacchi dell’11 settembre avevano ferito a morte il paese

Un bel giorno finanziare i film degli altri non gli è bastato più, così Bannon ha cominciato a produrre i propri, che riflettono la sua visione politica. Come soggetti ha scelto Ronald Reagan, il movimento Tea party e l’idolo della destra Sarah Palin. Nel documentario Fire from the heartland celebra Palin come un’eroina, una conservatrice che ama la sua terra e i suoi figli, è sposata e non appartiene “all’orda delle lesbiche”.

Bannon sentiva che gli Stati Uniti non avevano più eroi né valori chiari in cui credere. Gli attacchi dell’11 settembre e gli effetti sovversivi della cultura liberale avevano ferito a morte il paese. Nel 2012 si è trasferito a Washington e ha cominciato a lavorare alla sua idea del paese alternativa, di destra e nazionalista. Ha sostenuto chiunque condividesse il suo obiettivo di distruggere il sistema di Washington: prima il Tea party, poi Sarah Palin e ora Trump. Oggi alcuni di loro saranno ricompensati: al momento Palin è candidata alla carica di segretaria dell’interno.

All’origine del suo odio per la classe dirigente progressista, ha raccontato una volta Bannon, c’è la crisi finanziaria. Dopo il crac del 2008 suo padre, un umile impiegato della Virginia, ha venduto tutte le sue azioni per paura della bancarotta e ha perso la pensione. Le banche invece sono state salvate da Washington.

Ma c’è un’altra storia che descrive bene lo spirito di Bannon: stando a quanto dichiarato nel 2007 dalla ex moglie e riportato negli atti giudiziari di una disputa sugli alimenti, non voleva che le sue figlie frequentassero una scuola in cui c’erano anche allievi ebrei. Il motivo, ha detto all’epoca, è che non ama gli ebrei perché educano i figli come rammolliti

Insulti e minacce
Il giornalista della National Review David French ha sperimentato di recente fino a che punto può spingersi l’odio degli attivisti del movimento alt-right, a cui il sito di Bannon ha offerto uno spazio pubblico. In un articolo French aveva criticato la scrittrice e opinionista Anne Coulter, una celebre sostenitrice di Trump, per aver adottato il linguaggio razzista dell’estrema destra. In risposta gli esponenti della alt-right hanno pubblicato sull’account Twitter di French un’immagine in cui si vede la figlia adottiva, una bambina etiope di 7 anni, in una camera a gas. Poi se la sono presa con la moglie, insultandola per essere andata a letto con un nero.

Quello di French non è un caso isolato. Secondo la Lega antidiffamazione, che ha protestato contro la nomina di Bannon come consulente strategico, il numero dei commenti antisemiti in rete, soprattutto indirizzati ai giornalisti, è decisamente aumentato. E spesso provengono dai sostenitori di Trump. Ma naturalmente il futuro presidente non può essere accusato di nulla. È questo il bello del metodo Bannon.

Pochi giorni dopo la nomina di Bannon, il suo entourage è tornato ad attaccare la stampa: Breitbart ha annunciato di voler querelare una pubblicazione anonima in cui il sito è etichettato come “nazionalista bianco”. Bannon è ancora il direttore esecutivo di Breitbart News.

Tutto ciò non sfugge ai repubblicani a Washington, che però sono rimasti sorprendentemente muti davanti alla nomina di Bannon. Si concentrano sulla figura di Priebus, come se potessero ignorare il fatto che l’uomo chiamato a occupare la seconda carica del paese è intenzionato a distruggere il loro partito.

Bannon non si ferma nemmeno davanti all’Europa. Mentre Breitbart cerca una sede a Berlino e a Parigi, lui stringe contatti politici. Su Twitter la nipote della presidente del Front national Marine Le Pen ha già accettato un invito a collaborare. Nigel Farage è stato ricevuto dal presidente eletto degli Stati Uniti nella Trump tower a New York. La normalizzazione è cominciata. Se riuscirà, nulla sarà più come prima.

(Traduzione di Nicola Vincenzoni)

Questo articolo è stato pubblicato il 25 novembre 2016 a pagina 78 di Internazionale con il titolo “Stephen Bannon. Bianco scuro”. La versione originale è uscita il 17 novembre 2016 sul settimanale tedesco Die Zeit. Compra questo numero | Abbonati

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