21 giugno 2016 12:44

Le distese di schermi sotto il palco di un concerto, a una gara sportiva o durante uno spettacolo sono l’immagine perfetta per descrivere il periodo tecnologico in cui viviamo. Tutte quelle luci che catturano e registrano un momento speciale raccontano la vita agli albori di internet in tutta la sua frenetica bellezza. E riflettono anche le sue ansie: documentare un evento lo fa vivere con meno intensità? Tutti questi schermi gli tolgono significato? Il nostro impulso a scattare, twittare, postare o immortalare momenti della nostra vita diminuisce il valore di quei momenti e della nostra vita?

Secondo una nuova ricerca la risposta è no. La professoressa Kristin Diehl, che insegna marketing alla Marshall school of business di Los Angeles, ha voluto fare un esperimento. Con una serie di test in laboratorio e sul campo, Diehl e un team di ricercatori hanno confrontato l’indice di gradimento di alcuni eventi documentati dalle persone, con quello di altri non documentati.

I risultati, resi noti dal Journal of Personality and Social Psychology e ripresi da Time, mostrano che l’ansia è infondata: registrare un momento della nostra vita scattando una foto aumenta la gioia di chi lo sta vivendo. Congelare i fatti in uno scatto non solo non impedisce alle persone di viverli a pieno, ma sembra addirittura valorizzarli.

Con Instagram scegliamo cosa è così significativo che va salvato e ricordato, e cosa non lo è

“Lo studio ha rivelato che, mentre scattano una foto, le persone guardano al mondo con occhi diversi, perché cercano qualcosa da conservare”, spiega Diehl. “Sono più concentrate e tendono a essere più appagate”.

Non è l’atto di scattare una fotografia a darci questa gioia, ma la scelta accurata che facciamo mentalmente per decidere quello che vale la pena documentare. Con Instagram diventiamo gli editor dei contenuti della nostra vita. Scegliamo cosa è così significativo che va salvato e ricordato, e cosa non lo è.

A quanto pare questo è vero per diverse tipologie di attività. Diehl e colleghi hanno fatto un test su un campione di circa duecento turisti su un bus panoramico e hanno scoperto che chi fotografava le varie attrazioni si divertiva più di chi stava seduto a osservare il paesaggio. La stessa prova è stata fatta anche al museo: i partecipanti hanno riferito di godersi molto di più una mostra avendo la possibilità di fare qualche scatto. La tesi regge anche quando si prende in esame l’attività più bersagliata dai cliché: postare su Instagram le foto dei piatti che mangiamo. I partecipanti a cui è stato chiesto di fare fotografie durante i pasti (almeno tre in questo caso), nota Time, erano più concentrati degli altri.

Forse è così che si arriva alla differenza tra “cenare” e “mangiare”: anche un gesto semplice può essere un’esperienza, da assaporare nel momento in cui si compie, ovviamente, ma anche dotata di un suo valore che va conservato nel tempo. E – ci scuserà Susan Sontag – quale modo migliore di riconoscere il valore di un evento, che sia un pasto, una festa, un concerto o qualunque altra cosa, che fotografarlo e farne così un ricordo?

(Traduzione di Nicoletta Poo)

Questo articolo è stato pubblicato su The Atlantic.

This article was originally published on Theatlantic.com. Click here to view the original. © 2015. All rights reserved. Distributed by Tribune Content Agency

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