23 maggio 2017 17:18

Il morale è basso in Turchia, e non solo tra chi si oppone al presidente Recep Tayyip Erdoğan e al suo Partito della giustizia e dello sviluppo (Akp). Anche alcuni dei suoi sostenitori sono disorientati dai recenti sviluppi del paese. Dopo il fallito colpo di stato del 15 luglio 2016, Erdoğan ha deciso il licenziamento di decine di migliaia di funzionari pubblici.

Le statistiche delle purghe in corso in Turchia sono sconvolgenti. Il giorno dopo il fallito golpe, il governo Erdoğan ha licenziato 2.745 giudici, un terzo del totale. Non molto tempo dopo circa centomila funzionari pubblici, insegnanti e giornalisti hanno perso il lavoro. Il numero è oggi incredibilmente elevato: 138.147 funzionari, insegnanti e accademici statali licenziati, 50.987 arrestati. È come se il governo turco, per citare il consigliere di Donald Trump, Steve Bannon, stesse “decostruendo l’amministrazione statale”.

Il costo umano di queste purghe è elevatissimo. Almeno 37 delle persone arrestate si sono tolte la vita. La cifra è fornita dal Partito repubblicano del popolo (Chp), formazione d’opposizione, in un rapporto preparato dal suo vicepresidente Veli Ağbaba. Diciassette delle persone che si sono suicidate erano agenti di polizia, quattro soldati e due guardie carcerarie. L’umiliazione e la paura hanno presentato un conto salatissimo.

Poche ore dopo il fallimento del colpo di stato del 2016, il presidente Erdoğan lo ha definito “un dono di dio”. Il golpe gli ha infatti permesso di dare la caccia a chiunque considerasse suo avversario, dai suoi ex alleati a quanti sono sempre stati suoi oppositori.

La più impressionante offensiva di Erdoğan è stata quella rivolta contro il religioso turco Fethullah Gülen, che vive in Pennsylvania. Erdoğan e Gülen erano stati alleati quando l’Akp cercava di prendere le redini delle istituzioni statali e della società turche. Nell’ambito di precedenti purghe “morbide”, il governo Erdoğan aveva sostituito funzionari laici con simpatizzanti di Gülen, nella convinzione che questi islamisti sarebbero stati più benevoli nei confronti dell’agenda politica dell’Akp.

Oggi Erdoğan non ha più molto bisogno del movimento di Gülen. Vorrebbe che le istituzioni fossero guidate da figure fedeli alla sua persona, e non a una più ampia ideologia islamista. È un segno caratteristico di un sistema autoritario.

La fine della laicità
Nuriye Gülmen è una docente universitaria, Semih Özakça è un insegnante di scuola elementare. Entrambi sono stati licenziati nel corso delle purghe volute da Erdoğan. Ogni giorno si ritrovavano con altri manifestanti nella via Yuksel di Ankara, vicino a una statua, per difendere i diritti umani. Sono in sciopero della fame dall’8 marzo e vanno avanti con acqua salata e limone. Gülmen ha perso più di otto chili, Özakça più di 16. Entrambi sono in cattive condizioni di salute. Onur Karahanli, dell’associazione dei medici di Ankara, ha dichiarato che “si trovano attualmente in una condizione molto critica, nella quale il loro sistema nervoso e quello cardiovascolare sono stati danneggiati da due mesi di fame”. Fuori della Turchia, i mezzi d’informazione si sono occupati molto poco della loro protesta.

Il loro slogan, “rivoglio il mio posto di lavoro”, è attraente. Ha alimentato le speranze di migliaia di altre persone come loro. In tutta la Turchia, altri insegnanti e accademici hanno avviato, in segno di solidarietà, degli scioperi della fame. Gli architetti Arife Şahin (a Duzce), l’insegnante Nazife Onay (a Istanbul) e altri formano questo nuovo fronte di resistenza. Vari accademici hanno organizzato scioperi di solidarietà di 24 ore a Istanbul e lo stesso hanno fatto la facoltà e gli studenti della Middle east technical university. In silenzio, con paura, altri ammirano Gülmen and Özakça.

Nel frattempo le istituzioni pubbliche turche sono a corto di personale qualificato. Il filosofo Halis Yıldırım, che ha espresso chiaramente in pubblico la sua critica verso le purghe di Erdoğan, sostiene che “insegnanti competenti, seri e d’esperienza” vengono sostituiti con persone meno qualificate nominate dal governo. Per ora, dice, il sistema educativo elementare non è in crisi a causa del folto “esercito di riservisti” laureati che non erano riusciti a trovare lavoro nell’ultimo decennio e sono assunti per lavorare nelle scuole. Le università, tuttavia, si trovano di fronte a un grave problema. Seminari e lezioni vengono cancellati, in particolare quelli di scienze sociali e umanistiche, cui comunque il governo attribuisce scarsa importanza. Queste purghe, mi dice Yıldırım, creeranno una “generazione perduta”.

Un professore che ha firmato la petizione contro la guerra del governo turco ai curdi dice che il governo intende trasferire l’istruzione primaria dalle scuole statali a quelle religiose (imam-hatips). Nel 2004 solo 65mila bambini studiavano in questi istituti religiosi. Oggi il loro numero supera il milione. L’islam ed Erdoğan sono diventati i nuovi eroi dei curriculum, prendendo il posto di Mustafa Kemal Atatürk. Un altro professore universitario mi dice che i riferimenti alla teoria evoluzionistica sono stati espunti dai testi scolastici delle medie inferiori e superiori.

Coprifuoco contro i curdi
Nella piazza Seyit Rıza, nel cuore dell’Anatolia, il settantenne Kemal Gün è in sciopero della fame da quasi ottanta giorni. Siede nella piazza, spesso da solo, mentre un cane è sdraiato a terra lì vicino, circondato da alcuni cartelli che chiedono al governo di restituire il corpo di suo figlio, Murat Gün. I due figli di Kemal Gün erano entrati nel movimento rivoluzionario di sinistra che ha le sue radici nella lotta per l’autodeterminazione dei curdi. Murat faceva parte del Fronte rivoluzionario di liberazione del popolo (Dhkc), ed è stato ucciso insieme ad altri dieci uomini del Dhkc durante gli attacchi aerei del governo turco nel novembre 2016. Il fratello di Murat era stato ucciso a Geyiksu nell’aprile precedente. Lo sciopero della fame di Kemal Gün ha come obiettivo la restituzione del corpo di Murat.

Alcuni forse pensano addirittura che questi licenziamenti siano utili a eliminare degli elementi sovversivi

La situazione nel sudest della Turchia è terribile. Il coprifuoco ha creato varie città fantasma, mentre le truppe dello stato turco agiscono nell’impunità. Un rapporto delle Nazioni Unite del marzo 2017 intima alla Turchia di porre fine ai suoi “gravi” abusi. Trenta città sono state coinvolte dalle operazioni di sicurezza del governo, e circa cinquecentomila persone nella regione hanno dovuto lasciare le loro case. Il rapporto contiene alcune storie che fanno rabbrividire. Un uomo racconta di sua sorella, uccisa a Cizre nel 2016. “La mia famiglia è stata convocata dal pubblico ministero. Ci sono stati dati tre piccoli brandelli carbonizzati di quello che, dicevano, era il corpo della mia amata sorella”. Lo stato non ha spiegato perché è stata uccisa e da chi.

Il giro di vite contro i curdi è stato in parte rivolto al Partito democratico del popolo (Hdp), un’ampia alleanza tra sinistra e organizzazioni politiche curde. Il governo ha arrestato undici funzionari di partito, compresi i suoi condirettori Selahattin Demirtaş e Figen Yüksekdağ. Hanno perfino vietato la pubblicazione di una poesia, Coraggio contagioso, che Demirtaş ha scritto in prigionia. L’obiettivo sembra essere la distruzione del morale delle forze organizzate che si oppongono a Erdoğan.

#HayirDahaBitmedi
Dopo il referendum, vinto di misura da Erdoğan, sui social network turchi è circolato questo hashtag che significa “non è ancora finita”. Una giornalista mi dice che non ha mai visto la Turchia così divisa. “Abbiamo perso il collante che ci teneva insieme”, dice. Un universitario mi dice invece che “l’umore tra la gente dipende dall’affiliazione politica di ciascuno”. La sinistra laica è preoccupata dalle purghe. I sostenitori di Erdoğan invece sono “decisamente insensibili a questi licenziamenti. Alcuni forse pensano addirittura che si tratti dell’utile eliminazione di elementi sovversivi”.

Secondo il filosofo Yıldırım, Erdoğan non tollera di lavorare con chi non sia d’accordo con lui. La Turchia è guidata dalle persone che obbediscono a Erdoğan. Il pensiero critico è stato praticamente bandito.

Nel frattempo continuano gli scioperi della fame. È un modo di rifiutare la sottomissione. La sottomissione è la fine dello spirito umano. È questo il senso della poesia di Demirtaş (qui proposta nella traduzione italiana, a partire da quella inglese di Burcu Gündogan).

Dicono “silenzio!”.
E poi dicono, “nessun colore!”.
Anche se vi solleverete con gioia,
vi diranno “nessuna rosa può fiorire”.
E quindi ridiamo, affinché la vostra rivolta non sia resa orfana.
E se questo è un crimine, così sia…
Possa il sorriso del popolo non affievolirsi.
Dicono, “il sole non può sorgere!”.
E puntano la pistola contro la speranza.
Ma voi vi sarete sollevati rapidamente.
E loro daranno la colpa a voi.
E allora corriamo affinché la vostra rivolta non si senta sola.
E se questo è un crimine, così sia…
Non fate impazzire la gente!

L’ultimo verso è rivolto al governo. Le purghe stanno facendo impazzire le persone. Stanno sgretolando la società turca. Ma lo spirito umano ha risorse infinite. Nel sessantanovesimo giorno dello sciopero della fame, Nuriye Gülmen, indebolita ma non sconfitta, ha dichiarato un giorno di solidarietà con gli scioperi della fame dei prigionieri politici palestinesi. Il suo corpo si consuma, ma lei non si rinchiude in se stessa: il suo sguardo va alla Palestina. Persone come Nuriye Gülmen sono simboli della dignità umana, esattamente quella virtù negata dal governo di Erdoğan.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è uscito su Alternet.

Aggiornamenti.
Il 22 maggio 2017 Nuriye Gülmen e Semih Özakça sono stati arrestati.

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