27 febbraio 2024 12:30

“L’autorevolezza delle forze dell’ordine non si misura sulla forza dei manganelli”, il comunicato del presidente della repubblica Sergio Mattarella sulle manganellate delle forze dell’ordine contro gli studenti a Pisa il 23 febbraio è chiaro e severo, ma anche inconsueto. Era dal 2001, cioè dal G8 di Genova, durante quella che è stata definita “la più grande violazione dei diritti umani dal dopoguerra”, che un presidente della repubblica non interveniva su fatti di questo tipo. Ma all’epoca Carlo Azeglio Ciampi aveva fatto appello ai manifestanti perché cessassero le violenze.

Questa volta, invece, Mattarella ha condannato la gestione della piazza da parte delle forze di polizia. E poi c’è un passo in più nel comunicato di Mattarella: il richiamo esplicito ai responsabili politici, cioè al ministro dell’interno e al governo. “Con i ragazzi i manganelli esprimono un fallimento”, ha concluso Mattarella, inasprendo la condanna, anche politica, della violenza delle forze dell’ordine.

Ma se è inconsueta una posizione così esplicita da parte del presidente della repubblica, non si può dire lo stesso delle violenze e degli abusi da parte delle forze dell’ordine italiane, soprattutto in certi contesti: le manifestazioni degli studenti e in generale dei gruppi legati alla sinistra, le carceri, le questure, gli stadi o i centri di detenzione per il rimpatrio degli stranieri. Situazioni cioè in cui esiste uno squilibrio di potere tra chi esercita la forza e chi la subisce, spesso proprio nel momento in cui viene espresso un dissenso.

Solo due settimane fa nel centro di detenzione per il rimpatrio (Cpr) di via Corelli a Milano gli agenti hanno manganellato degli stranieri che protestavano nudi e sotto la pioggia contro le condizioni inumane del centro, che è già oggetto di un’inchiesta da parte della magistratura. Anche in quel caso le proteste erano pacifiche e in più le persone erano in una condizione di privazione della libertà personale, ma questo non ha impedito agli agenti di usare la forza.

“Con i detenuti i manganelli esprimono un fallimento”, si potrebbe dire, declinando la stessa frase di Mattarella.

Dopo il G8 di Genova nel 2001 molto è stato detto sulla cultura della violenza diffusa e perfino egemone tra le forze dell’ordine italiane e sulle difficoltà di riformare questi corpi, che hanno osteggiato prima l’introduzione del reato di tortura in Italia (approvato solo nel 2017), quindi l’adozione di un codice identificativo per gli agenti di polizia in servizio, tuttora assente. Tra l’altro qualcuno ha fatto notare che il questore di Pisa è stato tra i responsabili dell’ordine pubblico proprio a Genova nel 2001.

Se è stato impossibile riformare le forze di polizia è stato a causa del corporativismo, una cultura che ha indotto i vertici dell’organizzazione a serrare le file di fronte all’operato di ogni agente che ha compiuto violazioni, anche nei casi più eclatanti ed evidenti. Ma è stata inattuabile anche per l’appoggio di tanti esponenti politici e di alcuni partiti come Fratelli d’Italia e Lega, che oggi sono al governo.

Dopo il monito di Mattarella, il leader della Lega Matteo Salvini ha difeso l’operato delle forze di polizia a Pisa. E anche la presidente del consiglio Giorgia Meloni ha fatto intendere, con il suo silenzio, che il suo appoggio alle forze dell’ordine è immutato. D’altro canto Fratelli d’Italia, il partito di Meloni, ha presentato in questa legislatura un progetto di legge per abrogare il reato di tortura.

Può essere utile ricordare che i vertici delle forze dell’ordine, processati per i fatti di Genova nel 2001, hanno tutti fatto carriera nei dieci anni successivi al G8. Si dovrebbe riflettere anche sul fatto che sono stati reintegrati gli agenti della polizia penitenziaria sotto processo per le violenze e le torture perpetrate nel 2020 contro i detenuti del carcere di Santa Maria Capua Vetere, in provincia di Caserta.

Sono indicatori che ci aiutano a capire quanto sia diffusa la cultura della violenza nelle forze dell’ordine e quanto sia stato difficile nel tempo provare a cambiarla: una mentalità che è emersa molto chiaramente nelle resistenze da parte del sistema a facilitare processi sulle responsabilità dei singoli agenti accusati di torture, abusi o omicidi nelle caserme italiane, o ai danni di persone che erano nelle mani dello stato come Stefano Cucchi, Federico Aldrovandi o Aldo Bianzino.

La violenza delle forze di polizia contro gli studenti a Pisa non è un’eccezione ed è in continuità con molti avvenimenti del passato recente. Rassicura che il capo dello stato condanni l’uso dei manganelli e ribadisca quali siano i limiti stabiliti dalla costituzione per l’esercizio della violenza da parte delle forze dell’ordine. Probabilmente al Quirinale c’è qualche preoccupazione per la presidenza italiana del G7 e il vertice che si svolgerà in Italia a metà giugno, e che potrebbe essere scenario di nuove proteste e violenze. Ma stupirsi non serve: quella violenza è strutturale e ha una matrice riconoscibile e radicata, che negli ultimi vent’anni non si è voluto estirpare.

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