27 gennaio 2016 09:59

Oggi la Francia riceve un uomo dal destino ancora incerto. Apparentemente tutto sorride ad Hassan Rohani, presidente della repubblica islamica d’Iran che ha saputo tirare fuori il suo paese da una situazione difficile barattando l’interruzione del suo programma nucleare con la cancellazione delle sanzioni economiche che soffocavano il popolo iraniano, mantenendo in questo modo la promessa fatta nel 2013 ai suoi elettori. In questo momento la popolarità di Rohani è enorme e l’Iran può sperare in un nuovo inizio.

Il patto del 2013

Molti capi di governo troverebbero questa condizione invidiabile, ma il problema è che esistono due Iran. Da una parte ci sono la repubblica, il presidente e il parlamento eletto a suffragio universale attraverso un voto pluralista, a volte falsato ma comunque specchio dell’opinione nazionale. Queste istituzioni repubblicane sono una realtà, ma sono circondate da una pletora di istituzioni clericali che controllano la giustizia, le forze armate e i mezzi d’informazione e sono incarnate dalla guida suprema Ali Khamenei, uomo dal potere sconfinato.

Rohani e Khamenei avevano stretto un patto nel 2013. La guida avrebbe permesso a Rohani di vincere le presidenziali riunendo tutte le correnti d’opposizione e in cambio il presidente avrebbe salvato il regime dal fallimento ottenendo la cancellazione delle sanzioni.

Per trenta mesi Khamenei ha protetto il presidente dai falchi del regime, ma ora che l’accordo è stato portato a termine l’agenda dei due leader diverge chiaramente.

Mentre Rohani vorrebbe aprire un nuovo capitolo del cambiamento, liberalizzando progressivamente il paese e trovando un compromesso regionale con i paesi sunniti, la guida teme che il suo regime possa non sopravvivere alle rivendicazioni alimentate dalla cancellazione delle sanzioni.

L’intransigenza potrebbe costare cara ad Ali Khamenei, guida suprema del paese

Per questo Khamenei ha tarpato le ali del presidente permettendo a uno degli strumenti fondamentali del potere clericale, i guardiani della costituzione, di annullare la quasi totalità delle candidature dei riformatori alle legislative del prossimo 26 febbraio.

L’esisto di questo scontro di potere tra la repubblica e la guida resta incerto. Rohani ha pubblicamente dichiarato che si opporrà a questo colpo di mano. La sua popolarità lo protegge, ma Khamenei può contare sulle istituzioni. Difficile azzardare una previsione, ma la scelta della guida potrebbe trasformare il presidente nell’eroe di una coalizione di oppositori moderati e radicali che potrebbe sconfessare il regime astenendosi alle legislative.

L’intransigenza potrebbe costare cara a Khamenei, tanto più che riformatori stanno prendendo piede anche all’interno del clero, il nipote del fondatore del regime Hassan Khomeini si è schierato dalla parte del cambiamento e numerosi candidati senza legami politici e provenienti dal mondo degli affari e dei movimenti locali potrebbero sostenere il presidente una volta eletti.

A Teheran è cominciata una prova di forza, e il momento è decisivo.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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