07 settembre 2016 14:59

Caro bibliopatologo,
mi rivolgo a lei nella speranza che possa riabilitarmi agli occhi delle persone che mi conoscono. Ciò che mi induce a scriverle è la scarsa inclinazione al prestito dei libri. Me lo presti? Mi chiedono. No, te ne compro una copia uguale, rispondo. In genere a questo scambio di battute seguono insulti, espressioni di disgusto e predicozzi sul valore della condivisione o peggio dello sharing che il più delle volte sfociano in giudizi complessivi su: stile di vita, relazioni interpersonali che (non) riesco a instaurare, moralità in genere. Non mi basta argomentare che i libri sono una cosa seria, non come le chiavi di casa o le password di accesso ai profili sui social network, e non basta nemmeno aggiungere che non chiedo libri in prestito perché la copia di un libro è una cosa personale e io ho bisogno della mia per poterne fare quello che voglio senza l’ansia di doverla rendere indietro meglio di come l’ho avuta, neanche fosse una toilette pubblica. Confido in una sua assoluzione scritta da allegare ad ogni libro che non presterò.
Un caro saluto.
—Gregorio A.

Caro Gregorio,
anni fa un amico mi citò una strana massima di cui non sono mai riuscito a rintracciare la fonte (non che l’abbia cercata chissà quanto, ti dirò). Suonava pressappoco come un precetto islamico: “Mi taglino una mano se presto un libro; mi taglino anche l’altra se ne restituisco uno”. L’alternativa, in fatto di prestiti, è dunque tra lo sharing e la sharia – e io ho scelto la sharia.

Ricordo anche il giorno della mia conversione: era l’inverno del 2003, e con un amico romanziere ci siamo trovati in una situazione che non saprei se descrivere come “dilemma del prigioniero” o forse, più propriamente, come “stallo alla messicana” – la scena in cui i pistoleri si tengono sotto tiro a vicenda e restano paralizzati in attesa che qualcosa si sblocchi.

Lui mi aveva chiesto in prestito Che cos’è la tradizione di Elémire Zolla, con tutte le mie annotazioni; io gli avevo chiesto Menzogna romantica e verità romanzesca di René Girard, con tutte le sue. Dopo qualche attimo di terrore, e con la minaccia del bagno di sangue aleggiante nell’aria, è andata a finire che io gli ho regalato una copia nuova di Zolla, lui mi ha regalato una copia nuova di Girard, e nessuno si è fatto male.

Ma se lo scambio di ostaggi è andato a buon fine è perché, in fin dei conti, il mio amico e io accordavamo ai libri lo stesso significato, o meglio: li collocavamo nello stesso insieme, quello delle cose intime; dove si trovano, alla rinfusa, lo spazzolino da denti, la biancheria, il pin del Bancomat, il piatto in cui stiamo mangiando, l’asciugamani del bidet. Cose che è sconveniente perfino chiedere, figuriamoci pretendere. Da quel che racconti, le tue storie di prestiti negati e di prediche sui beni comuni nascono tutte da un’asimmetria; ossia, hai a che fare con persone che non collocano i libri in quella stessa sfera che è quasi una propaggine del corpo, se non una sua appendice, e per questo si stupiscono che qualcuno non voglia prestarli. Ma nessuno può essere accusato di tirchieria se non ti presta il suo spazzolino. Semmai, è generoso se te ne regala uno nuovo.

Una scena del film Le iene di Quentin Tarantino.

Più che darti un’assoluzione scritta, che potrebbe essere oggetto di contestazioni e di eccezioni da causidici, ti consiglio di spiazzare questi sciagurosi paladini della condivisione con una replica che ristabilisca la simmetria spezzata. Per esempio: “Mi presti La nausea di Sartre?”; “Certo, ma tu in cambio mi fai leccare un po’ di Nutella dalla tua fetta biscottata? Solo un po’, poi te la ridò. Nauseante abbastanza, vero?”. Oppure: “Posso prendere la tua copia dell’ultimo saggio di Settis sui beni comuni?” “Sì, volentieri, se mi passi un attimo le tue mutande, voglio vedere come mi stanno addosso. Mutande bene comune”.

Vedrai, nasceranno dei magnifici mexican standoffs a cui mi piacerebbe assistere, con colonna sonora di Ennio Morricone.

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