12 ottobre 2015 12:24

“Le persone con cui lavoriamo sono lì per puro caso”, osservava il personaggio interpretato da Martin Freeman nella serie televisiva The office più di dieci anni fa, come forse ricorderà qualche lettore meno giovane. “Passiamo più tempo con loro che con i nostri amici e familiari, ma probabilmente l’unica cosa che abbiamo in comune è che calpestiamo la stessa moquette otto ore al giorno”.

Forse questa affermazione oggi è più vera che mai: secondo lo psicologo Adam Grant è sempre più raro avere amici intimi al lavoro. Gli Stati Uniti sono il caso più evidente: tra gli anni ottanta e i duemila la percentuale di persone che dichiaravano di avere un buon amico al lavoro è scesa dalla metà a meno di un terzo. Ma la situazione non è molto migliore nel Regno Unito, dove il 42 per cento degli intervistati dice di non avere amici tra i colleghi.

L’ufficio è il mondo del fare, perciò il nostro valore è legato al contributo che diamo

È facile capire perché. Una volta si lavorava nello stesso posto a vita, il che significava avere gli stessi colleghi per tutta la vita, senza contare che spesso le aziende organizzavano feste per le famiglie. Adesso, scrive Grant, “il posto di lavoro è un luogo di transazioni, andiamo in ufficio per produrre, non per stabilire rapporti”.

La transitorietà, aggiunta al fatto che molti lavorano da casa e tutti sono estremamente impegnati, non favorisce l’amicizia. Il tizio seduto alla scrivania accanto alla nostra forse tra due mesi non ci sarà più. O forse non ci saremo più noi. Oppure, se siamo vittime della funesta mania della postazione condivisa, forse non avremo più neanche una scrivania. E allora perché prendersi la briga di invitarlo a bere qualcosa?

Questo non sarebbe tanto importante se passassimo meno ore al lavoro, e quindi avessimo il tempo per fare le nostre amicizie fuori. Ma ovviamente non è così, il che significa: più lavoro e meno rapporti sociali.

Le amicizie in ufficio sono sempre state fragili, come spiega Mark Vernon nel suo delizioso libro The meaning of friendship, perché la logica del posto di lavoro è l’opposto di quella dell’amicizia. L’ufficio è il mondo del fare, perciò il nostro valore è inevitabilmente legato al contributo che diamo. Una vera amicizia, invece, ha valore proprio perché non è una transazione, non è misurabile. È solo un impegno a esserci.

Momenti d’imbarazzo
La tensione del produrre può creare momenti di imbarazzo come quando, per esempio, il lavoro scadente di un collega complica il nostro, o quando improvvisamente diventa il nostro capo.

Partendo dal presupposto che non possiamo, o non vogliamo, rinunciare del tutto alla cultura dell’ufficio, forse varrebbe la pena di resistere alla tendenza a isolarci quando siamo lì. Tutte le ricerche del settore dimostrano che le persone che hanno più amicizie al lavoro si ammalano di meno e si sentono più realizzate.

Ovviamente questo significa essere disposti a interagire anche con individui irritanti: il collega che prende un unico invito a una festa come un’autorizzazione a scaricare quotidianamente su di noi tutti i suoi problemi o quello ficcanaso che vorrebbe sapere tutto dei nostri.

Ma anche le persone irritanti possono in qualche modo arricchirci, come ho scoperto quando ho rinunciato a un posto in redazione per lavorare da casa. Mi arrabbiavo sempre con quelli che parlavano forte al telefono, eppure ho sentito la loro mancanza; i rapporti sociali litigiosi sono comunque rapporti (adesso ho affittato una scrivania in una stanza condivisa, un compromesso che mi piace molto).

Sarà pur vero che camminiamo semplicemente sulla stessa moquette per otto ore al giorno, ma è sempre meglio che camminare ognuno sulla propria, da solo.

(Traduzione di Bruna Tortorella)

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