15 marzo 2016 11:54

Il fastidioso termine inglese wantapreneur descrive l’altrettanto fastidioso fenomeno delle persone che parlano continuamente delle startup che vorrebbero creare – “qualcosa come Airbnb, ma per le capre o per i cappelli!” – senza mai farne nulla.

Questa sindrome va ben oltre il mondo della tecnologia, come è facile verificare se confrontiamo il numero dei nostri amici che stanno “lavorando” a un romanzo o a una sceneggiatura con il numero di quelli che hanno davvero scritto una di queste due cose. Ma non avevo mai preso veramente coscienza di questo problema fino all’altro giorno, quando mi sono imbattuto nell’espressione che usa l’illustratore Kazu Kibuishi per descriverlo: debito di idee.

Si incorre in un debito di idee, spiega la collega di Kibuishi Jessica Abel, quando si passa “troppo tempo a immaginare come sarà un progetto, a pensare quanto sarà meraviglioso… e troppo poco tempo a fare effettivamente qualcosa”.

Quello che conta è fare qualcosa che, seppur di poco, alteri il mondo al di fuori della nostra testa

Come gli interessi che si accumulano sulla nostra carta di credito rendono sempre più difficile riprenderci economicamente, il debito di idee ci impedisce di agire. Più le immagini che abbiamo in mente sono vivide e dettagliate, più ci sgomenta dover cominciare a realizzarle.

A volte ci basta pensare intensamente a un compito per avere la sensazione di stare già facendo qualcosa di costruttivo in proposito. Questa impressione non ostacola solo i progetti creativi più ambiziosi, ma anche le piccole incombenze di tutti i giorni: rimuginando sulla lista di cose che dobbiamo fare ci sembra di combinare qualcosa, mentre in realtà stiamo solo perdendo tempo. A proposito del vizio di rimandare, mi piace molto il consiglio della blogger e attivista bibliotecaria Jessamyn West: cominciate a includere il tempo che passate a pensare a un compito nel tempo che vi ci vorrà per svolgerlo. “Quando finalmente arrivo a scrivere certe maledette email, ho la sensazione di aver perso cinque giorni a non scriverle mentre in fondo ci volevano solo dieci minuti per farlo”, osserva West. “Adesso cerco di sprecare meno tempo a fare una cosa cominciandola appena mi viene in mente”.

Generosità e sarcasmo

Un modo particolarmente subdolo di pensare invece di agire è “decidere”, perché sembra un grande atto di coraggio (“Io sono uno che decide!”, dichiarava George Bush, come se questo significasse realizzare qualcosa). Da sola, una decisione non cambia nulla. Come scrive Gregg Krech nel suo libro The art of taking action, dopo aver deciso di chiedere a qualcuno di uscire con noi, di scrivere un libro o di lasciare il lavoro, la realtà esterna rimane esattamente la stessa. Quello che conta è “increspare le acque”, per usare le sue parole, cioè fare qualcosa che, seppur di poco, alteri il mondo al di fuori della nostra testa.

Un buon esempio è quello della generosità. Comportarsi in modo generoso è moralmente giusto e ci fa sentire bene, come può non piacerci? Eppure ho perso il conto delle volte che ho deciso – veramente, sinceramente deciso – di fare una donazione, ringraziare qualcuno o offrirgli un aiuto… e poi non ho fatto assolutamente nulla (raramente, però, rimando di scrivere un tweet sarcastico).

Il maestro di meditazione Joseph Goldstein descrive così il suo personale modo di “praticare la generosità”: compiere appena possibile i gesti generosi a cui ha pensato, prima che gli venga in mente un motivo per non farlo. La maggior parte di noi probabilmente non ha bisogno di diventare più buona, deve solo imparare a darsi una mossa e fare le cose.

(Traduzione di Bruna Tortorella)

Questo articolo è stato pubblicato dal quotidiano britannico The Guardian.

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