05 gennaio 2024 09:37

Due anni fa ero in Polonia mentre la popolazione si mobilitava per accogliere una massa di profughi ucraini in fuga dall’invasione russa. I volontari arrivavano in auto alla frontiera, offrendo agli ucraini un letto per dormire e distribuendo sacchi di cibo, in uno slancio esemplare di solidarietà.

Il 4 gennaio scorso, alla stessa frontiera, c’erano chilometri di coda e un’atmosfera molto diversa. I camionisti e gli agricoltori polacchi bloccavano i varchi, impedendo a migliaia di autisti ucraini di tornare in patria e sbarrando l’ingresso di nuovi veicoli nel loro paese. I polacchi protestano contro la “concorrenza sleale” ucraina e hanno avviato un braccio di ferro con il loro nuovo governo, guidato dal liberale Donald Tusk.

Gli ucraini, intanto, sono ancora in guerra. Mentre i missili e i droni colpiscono le loro città, assistono esterrefatti ai difficili dibattiti in corso in Europa e negli Stati Uniti sugli aiuti alla loro causa. E questa tensione con una parte dell’opinione pubblica polacca rivela problemi più profondi.

La strategia delle bombe
Le continue offensive russe sugli obiettivi civili ucraini. La ritorsione di Kiev contro la città di Belgorod. L’ultima settimana è stata segnata dagli attacchi più violenti dall’inizio della guerra

La posta in gioco è l’equilibrio tra il principio di sostenere politicamente un paese aggredito e il prezzo che i cittadini sono disposti a pagare per difenderlo.

La Polonia è stata uno dei paesi più impegnati al fianco dell’Ucraina. Durante il mandato del precedente governo ultraconservatore e nazionalista, Varsavia ha perfino impartito alcune lezioni alla vecchia Europa, che sembrava esitante. Ma dalla scorsa estate i polacchi hanno progressivamente voltato le spalle al paese vicino a causa di questa presunta concorrenza sleale. Gli scontri sono cominciati con il crollo dei prezzi in Polonia dovuto all’importazione di cereali ucraini. La situazione è peggiorata quando l’Unione europea ha autorizzato la libera circolazione dei camion per sostenere l’economia di Kiev.

L’equilibrio si è rotto e oggi appare molto difficile da ristabilire. La tensione tra Ucraina e Polonia ha vissuto diverse fasi, fino a esplodere di nuovo il 4 gennaio. Il primo ministro Tusk, insediatosi da poco, sta cercando faticosamente di trovare soluzioni concordate tra Bruxelles e Kiev.

L’Unione europea ha tutto l’interesse a favorire un’intesa il più velocemente possibile, per due motivi. Il primo è legato alla necessità di evitare che le rivendicazioni di alcuni settori si aggiungano al dibattito politico sugli aiuti all’Ucraina, soprattutto dopo che il veto ungherese ha provocato il rinvio della decisione sui nuovi finanziamenti, prevista in origine per dicembre.

La seconda ragione è ancora più complessa e nasce dalla decisione dell’Unione europea di aprire il negoziato per l’adesione dell’Ucraina. Parliamo di un paese di 44 milioni di abitanti, con un settore agricolo rilevante e un tenore di vita inferiore alla media europea. Anche in questo caso bisognerà trovare un accordo politico e fare attenzione a non destabilizzare i 27 paesi dell’Unione.

L’equilibrio tra la solidarietà e il prezzo da pagare per mantenere gli aiuti rischia di avere un peso decisivo in vista delle elezioni europee di giugno. La crisi polacca suona come un campanello d’allarme.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it