17 settembre 2017 10:11

Seconda puntata di un racconto di Valeriu Nicolae. Prima puntata.

Piove forte, e sono arrabbiato con me stesso per essermene andato. Sono arrabbiato per la mia incapacità di adattarmi. Anja è la persona che si è comportata meglio con me in questo paese, in cui mi sento perduto. C’è qualcosa in me che distrugge ogni zona di comfort, reale o potenziale. Arrivo a casa nervosissimo. Alin è strafatto e ascolta musica a tutto volume. Decido che non posso rimanere a casa e vado a farmi una passeggiata. È già sera e sono all’incrocio tra Devon e Broadway. E tutt’a un tratto me la trovo davanti. Siamo entrambi bagnati fradici. I suoi capelli sono riccissimi, sembrano il pelo di un cane zuppo. Rido.

“Mi stai seguendo, vero?”.
“Certo, l’avvocata americana che segue l’immigrato zingaro esteuropeo per sacrificarlo in un rito satanico”.
“Ti chiederei di salire a casa mia, visto quanto sei bagnata. Ma Alin è strafatto, e non credo che gradirebbe. A meno che tu non abbia una passione per l’erba e per la musica romena di pessima qualità sparata tutto volume…”.

Sorride confusa e rifiuta. Ci dirigiamo verso casa sua. Mi rendo conto che stiamo parlando del più e del meno. Prendo il coraggio a due mani e le chiedo se vuole lasciarmi il suo numero di telefono o la sua email prima che ci separiamo. Mi dà il suo biglietto da visita.

“È un biglietto speciale fatto apposta per gli sconosciuti che ti seguono?”.

Non sembra affatto divertita. Di notte dormo malissimo. Il giorno dopo è sabato e fa molto caldo. Decido di scriverle un’email per scusarmi del fatto che sono stato un idiota. Le do anche il mio numero di telefono. La settimana va male, e quella dopo ancora peggio. Le scrivo una seconda volta, senza ricevere risposta. È andata nel Wisconsin con i suoi genitori per il weekend. Parliamo per due volte al telefono e basta.

La memoria è fluida
A Chicago fa caldissimo e la notte è praticamente impossibile dormire. Sono già passate due settimane dal nostro incontro fortuito quando, un venerdì sera, mi chiama. Mi chiede se ho voglia di fare il bagno al lago. Viene a prendermi a casa con una Mustang decappottabile e per strada ascoltiamo a tutto volume i Superman is dead. La memoria di quei momenti è fluida. Ricordo le luci sull’autostrada, come mi guardava e come mi ha preso la mano.

“Voi donne avete sempre un grande vantaggio”.
“E quale sarebbe?”.
“Sapete sempre quando si finirà a letto. Per noi è molto più complicato. Non sappiamo mai se portarci lo spazzolino, le cose per raderci, un cambio di vestiti, il pigiama speciale che conserviamo per le occasioni fortunate…”.

Ride.

“Ti sei portato lo spazzolino?”.

Il primo bacio è buono, buonissimo, e in qualche modo capisco che andrà tutto bene. Lei nuota benissimo, e per la prima volta mi rendo conto di essere chiaramente inferiore a qualcuno nel nuoto. Torniamo a riva, siamo entrambi stanchissimi e rimaniamo uno vicino all’altra a riprendere fiato. So che non dimenticherò questi momenti.

Così Anja ricorda quello che è successo: “È stato strano vederti quando avevo voglia di vederti. Ti innamori facilmente?”.

“Non parlo di queste cose. Non ho neanche idea di cosa significhi. Gli esseri umani parlano d’amore come se fosse una giustificazione per distruggere se stessi in nome della loro amata o di dio. Non ho mai capito perché separiamo l’amore da dio. È una cosa della nostra sfera interiore che ci spinge ad adottare determinati modelli, ad avere fantasie sull’amore, la pace, la sicurezza, la ricchezza che ci fanno dimenticare come ogni giorno avanziamo attraverso l’odio, la sfiducia, i litigi inutili, le miserie nostre e quelle degli altri. Voi dite sempre: ‘Non ho nulla da dare, devo possedere, e devo dimostrare di non essere un fallito’. Una società il cui motto è ‘I soldi fanno girare il mondo’ non ha un’anima. Al massimo può sognare di averla”.

È il più bel fine settimana della mia vita da adulto. Affittiamo due film russi e impariamo qualcosa l’uno dall’altra

“Sei un po’ fuori di testa, ma sei molto carino quando parli così, specialmente perché quello che dici è strano e allo stesso tempo appassionato. In più a tratti la tua sintassi è piuttosto assurda. Ma chi sei per giudicarci?”.

“Giudicare cosa? L’ipocrisia dei preti, dei pastori e dei politici che sostengono che la vostra società è fondata sulla parola di dio? Ha ragione Paolo quando dice che è stato ispirato direttamente da Gesù, o ha ragione Nietzsche a sostenere che Paolo è stato il più grande impostore? Dopotutto sono uno straniero, voi mi ripetete che sono un legal alien’ qualsiasi cosa significhi. In effetti io mi sento alienato, e credo che in fondo voi vogliate farci sentire alienati. Ci dite che vi rubiamo il lavoro, anche quando facciamo cose che voi non volete fare. Ho bonificato amianto per dieci dollari all’ora, lavato i piatti per tre dollari all’ora più qualcosa da mangiare, e ho demolito case per cinque dollari all’ora. Senza assicurazione, senza protezioni, senza nessun diritto. Chi di voi lo farebbe? In più voi dovete sempre fingere di star bene, come se fosse incostituzionale non essere felici”.

“Perché non stai un po’ zitto? Non mi devi più impressionare. Sto con te nel mezzo della notte, in mutandine e reggiseno. Non devi preoccuparti di nulla. E puoi prendere in prestito il mio spazzolino da denti se la cosa ti fa sentire più tranquillo”.
Ecco com’è fatta Anja.

Un bacio fantastico. Passionale. Quella notte mi rimane ancora impressa nel cervello. La mattina dopo la sveglio e le chiedo di darmi un pizzicotto. Lo fa davvero e poi si mette a ridere di gusto. Cucino qualcosa. Male, ovviamente, ma ad Anja non sembra importare.

È il più bel fine settimana della mia vita da adulto. Affittiamo due film russi e impariamo qualcosa l’uno dall’altra. Da allora le sue lettere cominciano sempre con le parole “Mio zingaro filosofo”, e le mie con “Dea delle lentiggini”.

(Traduzione di Mihaela Topala)

Questo articolo è uscito sul settimanale romeno Dilema Veche.

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