22 settembre 2017 16:22

Nelle ultime settimane Donald Trump ha avuto molto a cui pensare: prima ha dovuto gestire le emergenze causate dall’uragano Harvey in Texas e da Irma in Florida, poi è stato impegnato nelle prime vere trattative politiche della sua amministrazione, che hanno portato ad accordi sorprendenti con i leader del Partito democratico, uno per alzare il tetto del bilancio e stanziare fondi per le zone colpite dai disastri naturali, e un altro per presentare al congresso un provvedimento per evitare l’espulsione dei cosiddetti dreamers, le persone arrivate negli Stati Uniti da bambini e che finora erano protette da un decreto approvato da Barack Obama.

Tutto questo ha messo in secondo piano – anche sui mezzi d’informazione – lo scandalo sul tentativo del governo russo di condizionare le elezioni presidenziali del 2016 e sui rapporti poco chiari tra alcuni collaboratori di Trump e funzionari del Cremlino.

Una strategia d’indagine aggressiva
Ma la vicenda sta andando avanti: è cominciata la fase delle audizioni, delle testimonianze e dell’analisi dei documenti che gli investigatori requisiscono un po’ alla volta, una fase in cui non si prevedono fuochi d’artificio ma che prepara il terreno per nuove rivelazioni e nuove sorprese.

L’aspetto più importante è che ora è nota la strategia di Robert Mueller, il procuratore speciale nominato dal dipartimento di giustizia dopo il licenziamento voluto da Trump del direttore dell’Fbi, James Comey, che aveva avviato un’indagine sui rapporti tra il comitato elettorale di Trump e alcuni funzionari russi. A quanto pare Mueller ha optato per un approccio particolarmente aggressivo, definito da alcuni commentatori “più in linea con un’inchiesta su un’organizzazione criminale che con una su un caso di collusione”.

Lo dimostra il comportamento di Mueller con Paul Manafort, il lobbista e consulente politico che ha guidato la campagna elettorale del candidato repubblicano fino all’agosto del 2016, quando si dimise dopo che il New York Times trovò le prove di pagamenti non denunciati dall’ex presidente ucraino (e alleato di Vladimir Putin) Viktor Janukovijč.

Mueller si sta concentrando su persone che sono l’anello debole nella catena di alleanze di Trump

È emerso che a fine luglio gli agenti dell’Fbi hanno fatto irruzione prima dell’alba nella casa di Manafort ad Alexandria, in Virginia, per sequestrare documenti, file elettronici e altre prove potenziali. A quanto pare Mueller era così preoccupato che Manafort potesse cercare di distruggere le prove da essersi presentato con un mandato che gli dava il permesso di sfondare la porta e sorprendere il lobbista nel sonno. Il procuratore ha anche emesso una serie di mandati di comparizione nei confronti di alcuni collaboratori e avvocati di Manafort.

Secondo il New York Times, Mueller ha comunicato a Manafort che sarà incriminato. Peraltro l’ex consigliere di Trump era già entrato nell’inchiesta a luglio, quando si era scoperto che durante la campagna elettorale aveva partecipato insieme a Jared Kushner, genero di Trump e alto funzionario dell’amministrazione, e a Donald Trump Jr., il figlio maggiore del presidente, a un incontro con Natalia Veselnitskaja, un’avvocata russa che sosteneva di avere informazioni compromettenti su Hillary Clinton, la candidata del Partito democratico.

Mueller vuole capire se è stato lui a costruire i ponti tra la squadra di Trump e il Cremlino usando i suoi contatti e le sue amicizie russe. Lo stesso discorso vale per Michael Flynn, il primo consigliere per la sicurezza nazionale di Trump, che si è dimesso quando si è scoperto che aveva tenuto nascosti alcuni incontri con l’ambasciatore russo negli Stati Uniti nelle settimane precedenti all’insediamento del nuovo presidente.

Una spinta a collaborare
Anche nel suo caso il procuratore sta indagando su familiari e collaboratori. In sostanza Mueller sta adottando (per ora) un approccio morbido nei confronti dei funzionari dell’amministrazione coinvolti nella vicenda (come Kushner) e si sta concentrando su persone che sono uscite dalla cerchia ristretta del presidente ed evidentemente rappresentano l’anello debole nella catena di alleanze di Trump.

Tra tutti Manafort sembra quello nella posizione più complicata e potrebbe creare più problemi alla Casa Bianca. Un articolo di Rolling Stones spiega bene perché: “Per prima cosa, perché Mueller e l’Fbi sono convinti di avere abbastanza prove della sua colpevolezza; secondo, questo fa emergere la possibilità che i federali siano in possesso di registrazioni in cui Manafort, e potenzialmente anche Trump, parlano della collusione con la Russia; infine, adesso Manafort ha un incentivo a cooperare con Mueller per evitare di essere incriminato”.

È probabile, cioè, che Mueller non sia davvero interessato a proseguire con le accuse a Manafort, ma che voglia semplicemente spingerlo a collaborare con gli inquirenti, dicendogli tutto quello che sa per evitare di andare in carcere. Se Manafort dovesse accettare, si aprirebbe un fronte dell’inchiesta completamente nuovo – e molto compromettente e pericoloso per la Casa Bianca.

Un filone d’indagine finanziaria potrebbe essere il grimaldello per far luce sugli interessi economici di Trump in Russia

Tutto questo è successo mentre stavano già emergendo altri segnali preoccupanti per Trump: qualche settimana fa si è scoperto che nel 2016 la Trump organization, l’azienda di famiglia, stava lavorando a un importante accordo commerciale a Mosca, proprio mentre negli Stati Uniti era in corso la campagna elettorale e la Russia cercava di condizionare il risultato delle elezioni attraverso notizie false e rivelazioni su Clinton.

Si è anche saputo che Michael Cohen, uno degli avvocati di Trump, aveva mandato un’email al portavoce di Vladimir Putin chiedendogli una mano per sbloccare il progetto; Cohen avrebbe avuto uno scambio di email con Felix Sater, un imprenditore amico di Trump che si vantava dei suoi legami con Putin e sosteneva che la costruzione della Trump tower a Mosca avrebbe aiutato il candidato repubblicano a vincere le elezioni.

È possibile inoltre che Mueller stia collaborando con l’unità d’indagine dell’Irs, l’agenzia del fisco statunitense, per indagare su possibili violazioni finanziarie dei collaboratori di Trump. Poiché il presidente non ha mai voluto rendere pubblica la sua dichiarazione dei redditi, molti pensano che questo filone dell’inchiesta potrebbe essere il grimaldello per fare luce sugli interessi economici di Trump in Russia e di conseguenza sulla potenziale collusione politica.

Infine, Mueller sta anche cercando di capire se Trump abbia licenziato Comey per mettere a tacere l’inchiesta sulla Russia. Il procuratore sarebbe in possesso della prima lettera scritta da Donald Trump e da Stephen Miller (il più estremista tra i suoi consiglieri) per spiegare le ragioni del licenziamento del capo dell’Fbi. Questa lettera non è stata diffusa – ed è stata sostituita da un’altra in cui Trump sosteneva di aver licenziato Comey per la sua gestione dell’indagine sulle email di Clinton – ma potrebbe contenere l’ammissione del fatto che il presidente volesse liberarsi di una persona e di un’inchiesta scomoda.

Nelle prossime settimane difficilmente assisteremo a grandi colpi di scena, degni di titoli roboanti e tweet di Trump su fantomatiche cacce alle streghe e minacce a giornalisti, inquirenti e parlamentari. Ma è probabile che saranno piantati dei paletti che un po’ alla volta sposteranno i confini dell’inchiesta sempre più vicino alla Casa Bianca.

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