26 febbraio 2020 16:32

Dopo una lunga battaglia da parte delle associazioni, nonostante lo stanziamento di un fondo regionale e un’estesa mobilitazione cittadina, il centro antiviolenza e casa rifugio per le donne Lucha y siesta, nella periferia di Roma, andrà all’asta, come previsto dal tribunale fallimentare. Il 25 febbraio il comune di Roma aveva disposto l’interruzione delle utenze dello stabile, di proprietà dell’Atac (la municipalizzata dei trasporti), distacco che non è avvenuto per le proteste delle attiviste e degli abitanti del quartiere, che hanno dichiarato un presidio permanente per impedire che la struttura sia definitivamente sgomberata. L’edificio, nel quartiere Tuscolano, è stato occupato da un gruppo di attiviste nel 2008 e si è trasformato in un punto di riferimento per le donne nella capitale per le sue attività per le donne che scappano dalla violenza domestica, ma anche per le numerose iniziative culturali nel quartiere.

Intanto il 25 febbraio sono state trasferite la maggior parte delle donne ospitate dalla casa, nell’edificio sono rimaste solo in cinque con i loro tre figli, mentre nove sono state spostate in altre strutture. Altre tre donne avrebbero dovuto entrare a breve nella casa rifugio, ma non potranno farlo. Le operatrici hanno convocato una nuova mobilitazione, perché temono che non solo la struttura sia definitivamente sgomberata, ma che si voglia concludere un’esperienza di dodici anni che è stata essenziale per i servizi antiviolenza alle donne della capitale. Infatti in tutto a Roma sono disponibili 25 posti letto per donne che scappano dalla violenza (mentre la convenzione di Istanbul ne raccomanda uno ogni diecimila abitanti) e la casa rifugio Lucha y siesta al momento fornisce il 60 per cento dei posti letto disponibili a Roma.

“Lucha y Siesta non è solo un immobile, è uno spazio trasformato in un punto di riferimento sociale e politico. È evidente che la sindaca Raggi non conosce Roma e non ha capito il peso di una realtà come la nostra nel territorio della città e quale prezioso contributo abbia avuto nella lotta alla violenza di genere e all’autodeterminazione delle donne. Lo dimostrano anche le migliaia di persone, attiviste, artiste, politiche, anche a livello internazionale, che si sono mobilitate in questi mesi”, affermano le operatrici in un comunicato.

La sindaca Virginia Raggi non ha voluto ricevere le operatrici e le attiviste che sono andate al Campidoglio il 25 febbraio per chiedere la revoca del distacco delle utenze, mentre il consiglio comunale ha bocciato una mozione presentata dal Partito democratico e da Italia Viva che chiedeva di non sospendere le utenze. La regione Lazio ha assicurato che parteciperà all’asta del 7 aprile e proverà a rilevare l’immobile, ma non ha alcun diritto di prelazione sulla struttura, un’ex stazione dell’Atac, che parte da una base di asta di 2,4 milioni di euro. Secondo le operatrici e le attiviste, l’asta dovrà essere seguita e monitorata con la massima attenzione, il timore è infatti che ci siano degli interessi immobiliari da parte di costruttori e speculatori edilizi. “Tutto ciò ha il sapore dell’approssimazione e dell’incapacità. Ci verrebbe da pensare che un tale accanirsi derivi dal possibile profitto che le liquidatrici fallimentari potrebbero trarne dalla vendita dell’immobile”, continua il comunicato delle operatrici.

Quella di Lucha y siesta è una storia locale, ma rappresenta le contraddizioni di una città di quattro milioni di persone, bloccata dalla burocrazia, senza una visione di lungo corso, in cui spesso i servizi sono affidati all’autorganizzazione di associazioni e cittadini, che per paradosso sono ostacolati dalle stesse istituzioni da cui dovrebbero essere sostenuti. Una situazione che rischia di acuirsi con la campagna elettorale in vista delle amministrative del 2021, infatti il Movimento 5 stelle, che amministra la capitale, in questo caso non vuole assecondare la decisione del consiglio regionale del Lazio di ricomprare la struttura, perché l’iniziativa è stata sostenuta dal Partito democratico: una competizione di cui pagheranno il prezzo tutti i romani e in particolare le donne che perderanno un punto di riferimento essenziale nella capitale.

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