05 ottobre 2019 08:51

È l’uomo della guerra nello Yemen. Quello che avrebbe dovuto incarnare la nuova Arabia Saudita, intenzionata a guardare il rivale iraniano dritto negli occhi e a contrastare le sue mire espansioniste. Il delfino della casa reale saudita, Mohammed bin Salman (chiamato Mbs), ha usato l’offensiva nello Yemen del marzo 2015 come la sua rampa di lancio sulla scena politica. Con lui Riyadh avrebbe cambiato strategia e non avrebbe più esitato a mostrare i muscoli per difendere le sue posizioni e far avanzare le sue pedine.

Quattro anni dopo il bilancio è amaro. Il 14 settembre l’Arabia Saudita è stata colpita da due attacchi contro i suoi impianti petroliferi. Invece gli iraniani, nonostante le frequenti scaramucce con gli Stati Uniti, negli ultimi anni non hanno subìto nessun attacco (al di là di quelli terroristici). Mohammed bin Salman non ha mantenuto la promessa di fare dell’Arabia Saudita una potenza militare regionale in grado di sconfiggere Teheran. I sauditi non hanno riportato nessuna vittoria contro l’Iran da quando Mbs ha preso le redini. Anzi, sembrano in una posizione ancora più fragile.

Grazie al sostegno degli alleati, gli iraniani hanno la capacità di colpire il territorio saudita sia dallo Yemen sia dall’Iraq, per non parlare della loro capacità di destabilizzare il mercato del petrolio bloccando lo stretto di Hormuz. I sauditi sono due volte sotto scacco: nella guerra nello Yemen e nell’alleanza con gli Stati Uniti di Donald Trump. Nel primo caso non riescono ad avere la meglio sui ribelli huthi e sono stati in parte abbandonati dal loro miglior alleato, gli Emirati Arabi Uniti. Nel secondo caso hanno puntato troppo su Trump, forse pensando che ci avrebbe pensato lui a mettere in riga l’Iran. È vero che Washington sta cercando d’indebolire l’economia iraniana, ma Trump non vuole impegnarsi in un nuovo conflitto in Medio Oriente. Ed è proprio da lui che dipende la sicurezza di Riyadh e l’esito del braccio di ferro iraniano-saudita.

(Traduzione di Francesca Sibani)

Anthony Samrani sarà a Ferrara con Pejman Abdolmohammadi dell’università di Trento e il politologo francese Stéphane Lacroix. Questo articolo è uscito su L’Orient le Jour.

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