16 novembre 2017 16:37

Gentile bibliopatologo,
sono schiavo del canone. Quando mi fermo a pensare ai classici che non ho letto, vivo ogni altra lettura con frustrazione o in preda a dilemmi come questi: posso leggere Plotino senza aver letto Platone? O un petrarchista senza aver letto Petrarca? L’inconscio, certo, ha le sue buone ragioni. Ma, se lo assecondassi sempre finirei per sentirmi un lettore perditempo, tanto più che i miei studi e il mio lavoro richiedono competenze letterarie, e non solo passione. Come uscirne?
–Gianluca

Caro Gianluca,
è il tuo giorno fortunato: ho non una, ma due risposte per te – al prezzo di zero, per giunta. La prima la raccomando allo studioso, la seconda al lettore comune. Un collezionista erudito come Mario Praz – ogni suo libro è una Wunderkammer – diceva che non ci vuole poi molto per diventare un critico letterario decoroso. Non serve essere molto intelligenti, anzi è preferibile “una certa ottusità tranquilla, che si lascia imbevere più facilmente dai colori e dai suoni dei libri”. E neppure bisogna saper scrivere bene: “Basta conoscere i verbi principali, qualche aggettivo (non troppi), l’uso corretto della consecutio temporum”; del resto, la letteratura del passato è così bella “che finirà per lasciar cadere qualche esile goccia delle sue ricchezze, formando graziose o bizzarre stalattiti, nella prosa del critico”. Una sola cosa, aggiungeva, è veramente necessaria:

Bisogna conoscere moltissimi libri. Tutta la letteratura inglese, francese, russa, italiana, spagnola e tedesca, in primo luogo: anche quei minori, senza i quali non si apprezza il profumo di un’epoca. Ma come si possono ignorare i greci e i latini? Senza Omero e Pindaro, Virgilio e Ovidio, Apuleio e Agostino, non si capisce assolutamente nulla della letteratura occidentale. E la Bibbia? E il Corano e le Mille e una notte e gli storici arabi? E la letteratura persiana, che insegna a ciascuno di noi l’arte della mistica e quella della metafora? E il Tao, i romanzi taoisti e la Murasaki, che ci apprendono il dono supremo, quello del Vuoto? I libri hanno una strana amicizia l’uno per l’altro. Se li chiudiamo nella mente di una persona bene educata (un critico è soltanto questo), lì al chiuso, al caldo, serrati, provano un’allegria, una felicità come noi, esseri umani, non abbiamo mai conosciuto. Scoprono di somigliarsi l’uno l’altro. E ognuno di loro lancia frecce, bagliori di gioia verso gli altri libri che sembrano (e sono e non sono) simili. Così la mente che li raccoglie è gremita di lampi, di analogie, di rapporti, di corti circuiti, che finiscono per traboccare. La buona critica letteraria non è altro che questo: la scoperta della gioia dei libri che si somigliano.

Non credo che tu stia inseguendo la chimera di diventare uno specialista di tutto lo scibile, o piuttosto non lo spero, per la tua salute; ma in ogni caso ti sconsiglio di tentare una carriera di studioso “bene educato” di Plotino senza aver letto mezza riga di Platone, o di Pietro Bembo senza conoscere neppure un verso di Petrarca. Si sentirebbero soli e al freddo, chiusi nella tua mente.

Questo per lo studioso. Per il lettore comune ho approntato una risposta molto diversa. O meglio, l’ho pescata in una delle Lettere di Berlicche di C.S. Lewis, dove un demone esperto istruisce il nipote apprendista su come riconquistare l’anima di un cristiano appena convertito, così da spingerlo di nuovo alla perdizione. Ce n’è anche per la dannazione culturale; e lo stratagemma, è proprio il caso di dirlo, è diabolicamente semplice: si tratta di inculcargli il “punto di vista storico”.

Il ‘punto di vista storico’ significa, in poche parole, che quando un uomo dotto incontra una qualsiasi affermazione in un libro vecchio, la domanda che non si farà mai è se tale affermazione sia vera. Si chiede chi ha fatto sentire il suo influsso sul vecchio scrittore, e fino a qual punto l’affermazione s’accorda con ciò che ha detto in altri libri, e quale fase esso illustra nello sviluppo dell’autore, o nella storia generale del pensiero, e come incise su scrittori più recenti, e se è stato spesso capito male (particolarmente dai colleghi dell’uomo dotto), e quale è stata la tendenza generale della critica negli ultimi dieci anni, e quale è lo ‘stato attuale della questione’. Considerare l’antico scrittore come una possibile fonte di conoscenza – anticipare che ciò che egli disse potrebbe possibilmente modificare i tuoi pensieri o il tuo modo di comportarti – sarebbe rigettato come segno di un’indicibile semplicità di mente.

So bene che l’anima umana non è un hard disk che si possa facilmente “partizionare”, come si dice nell’orribile gergo informatico, dunque non posso certo cavarmela con il consiglio schizoide di studiare come Praz nell’orario di lavoro e di leggere come Lewis nel tempo libero. Ma se proprio non puoi affrancarti dalla servitù dei classici sulle cui spalle poggiano altri classici, ricordati di non cedere fino in fondo alle lusinghe di quel vecchio diavolo di Berlicche. Che sia la tua preghiera silenziosa. E liberaci dal canone, amen.

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