08 giugno 2017 18:00

La prima mummia l’ho vista ai musei Vaticani. Pochi anni dopo ho incontrato quella di Boris Karloff grazie a un ciclo della Rai, Sette passi nel fantastico (la sigletta introduttiva era My Sharona degli Knack). E così il 30 ottobre 1979 io e mio fratello abbiamo avuto il permesso di restare alzati fino a tardi per vedere il classico del 1932. Di quel ciclo facevano parte anche La moglie di Frankenstein, L’occhio che uccide, L’abominevole dottor Phibes e Oscar insanguinato, gli ultimi due con Vincent Price. Ma non divaghiamo.

La Universal produsse La mummia di Karl Freund con Boris Karloff nel 1932 per assecondare il successo di Frankenstein, uscito l’anno precedente. Non lo ricordo così terrificante. Da piccolo mi fece molta più strizza Il fantasma dell’Opera, classico del muto con Lon Chaney, o anche The body snatcher (titolo italiano La jena) di Robert Wise, di nuovo con Boris Karloff. Nel 1999 la Universal ha ripescato il plot del 1932 per il remake La mummia (con Brendan Fraser e Rachel Weisz) che a sua volta ha dato vita a un sequel, più una serie di derivati con scorpioni e dragoni.

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The mummy di Alex Kurtzman invece è un reboot: la mummia è una donna (Sofia Boutella), ci sono Tom Cruise e Russell Crowe (che interpreta il dottor Jekyll), ma il film è sempre un prodotto Universal ed è il primo di una serie che riporterà sul grande schermo alcune leggende del cosiddetto Dark universe: “mondo di dei e mostri”, nato tra gli anni trenta e gli anni cinquanta del novecento, di cui fanno parte il fantasma dell’Opera, il gobbo di Notre-Dame, Dracula, il mostro della laguna nera, l’uomo invisibile, l’uomo lupo e altri.

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Già annunciato il secondo reboot, che sarà quello della Moglie di Frankenstein, previsto per il febbraio 2019. Per il progetto si è fatto il nome di Angelina Jolie, ma è troppo presto per qualsiasi certezza. Non è il caso di ricominciare con la filippica sugli studios che si ripiegano su loro stessi. Speriamo solo che ne escano buoni film, anche se non tutti all’altezza dei classici citati nel filmato qua sopra.

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Se non vi è venuta voglia di vedere la nuova mummia allora c’è Sieranevada del rumeno Cristi Puiu. Il film è stato presentato a Cannes nel 2016 e per saperne di più vi rimando alla recensione di Francesco Boille. A detta di tutti il film è lungo (quasi tre ore), ma non annoia e, comunque, non raggiunge il livello di La morte del signor Lazarescu, sempre di Puiu, che nel 2005 ha aperto la nuova stagione del cinema rumeno.

A proposito, neanche la regista israeliana Rama Burshtein con Un appuntamento con la sposa è riuscita a realizzare un film all’altezza della sua opera precedente. Era difficile perché Fill the void (La sposa promessa), presentato a Venezia nel 2012, era eccezionale: che lo spettatore lo volesse o no, si trovava catapultato nella comunità ultraortodossa di Tel Aviv nei panni di una ragazzina costretta a sposare il vedovo della sorella, morta all’improvviso.

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La trentenne Michal rompe con il suo fidanzato a meno di un mese dal matrimonio. Prosegue i preparativi delle nozze come nulla fosse e nel frattempo cerca un nuovo promesso sposo. Burshtein adotta un tono più leggero, da commedia sentimentale rispetto al film precedente, ma molti critici hanno liquidato troppo rapidamente Un appuntamento con la sposa come “una specie di Bridget Jones versione ebrea ortodossa”. Comunque non c’è dubbio che siamo molto lontani dal meraviglioso Fill the void.

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Sognare è vivere, l’altro film israeliano del fine settimana, segna il debutto alla regia di Natalie Portman. È l’adattamento del best seller autobiografico di Amos Oz, Una storia di amore e di tenebra. Portman è anche la protagonista del film, nel ruolo della madre di Oz, Fania.

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