13 luglio 2017 18:40

Paul Schrader è un nome che chi ama il cinema conosce bene. Come sceneggiatore (Taxi driver, Complesso di colpa, Toro scatenato) e come regista (American gigolo, Il bacio della pantera, l’inquietante Auto focus). Insomma è uno dei grandi. Esce in sala Cane mangia cane, diretto da Schrader e tratto da uno dei romanzi di Edward Bunker che molti forse ricorderanno come Mr. Blue (una delle iene di Tarantino). Tre criminali di basso calibro che hanno cementato la loro amicizia in galera, si ritrovano a piede libero e riprendono la loro vita fatta di crimini, droga, prostitute. Si trovano di fronte a un’occasione che potrebbe fruttargli un quarto di milione a testa. A nessuno piace quel lavoro (il rapimento di un bambino), ma i criminali di Bunker non hanno un codice d’onore, anzi sono piuttosto brutti e sporchi e abbastanza cattivi, anche se non poi così tanto.

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Bunker ha passato metà della sua vita tra riformatorio e prigione, per crimini più o meno gravi, ma soprattutto per l’incapacità di trovare una via d’uscita da un sistema che ti ingurgita e continua a ruminarti. Schrader è sempre riuscito a tenere l’epica, di qualsiasi genere (soprattutto quella da romanzo criminale), lontana dai suoi personaggi, che spesso annegano nello squallore, senza nessuna grandezza, nessuna possibilità di redenzione anche quando (L’ultima tentazione di Cristo) parliamo di personaggi delle sacre scritture. L’incontro tra i due dà vita a un film eccezionale.

Eccezionali anche i tre interpreti. Nicolas Cage è Troy, il capobanda che si preoccupa per i suoi compagni anche se sa bene (e lo dice subito) che una volta che sei stato dentro, restare fuori è praticamente impossibile. Willem Dafoe è Mad Dog, tossico, paranoico, incapace di controllare la sua emotività e la sua violenza. Infine Christopher Matthew Cook è Diesel, taciturno, apparentemente calmo, affidabile ma un po’ cocciuto. C’è anche lo stesso Schrader che interpreta il Greco, una specie di procuratore per criminali. La prima sequenza è tutta di Willem Dafoe, il finale è tutto di Nicolas Cage: una spartizione equa delle spoglie di questi uomini perduti per due grandi attori che, come il regista che li dirige, sanno che si possono fare ottimi film anche lontani da Hollywood.

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Black butterfly di Brian Goodman mi ha messo in difficoltà. Antonio Banderas interpreta uno sceneggiatore che sta cercando di scrivere nella sua casa isolata in Colorado, ma, da quando la moglie l’ha lasciato, è in piena crisi creativa. In breve, per una serie di circostanze, si ritrova sequestrato nella sua casa da una specie di vagabondo (ex galeotto, come Goodman) interpretato da Jonathan Rhys Meyers. La convivenza forzata sembra far ritrovare allo sceneggiatore la vena perduta. Ma… E qui entriamo in zona spoiler. Se non volete spoiler saltate il prossimo paragrafo.

Perché qui cominciano i colpi di scena. Il primo mette in discussione la credibilità di quello che sembra un thriller a basso costo. L’ultimo gli fa direttamente cambiare genere. È probabile che dopo i titoli di coda il pubblico si divida tra chi vorrà indietro i soldi del biglietto e chi invece avrà apprezzato il gioco del regista. I primi hanno tutta la mia solidarietà, ma significa che non hanno colto i messaggi che Goodman ha provato a mandargli ripetutamente. Ma quella tizia che poco dopo l’inizio vuole comprare il cottage di Banderas è Cristina Moglia? Che ci fa Abel Ferrara in un alimentari del Colorado? Davvero Banderas prende le mazzate da Jonathan Rhys Meyers? Sogno o son desto?

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Accanto a questi due film “cadetti” che rendono davvero interessante il secondo fine settimana di luglio c’è anche The war. Il pianeta delle scimmie, terzo capitolo delle avventure di Cesare, scimmia intelligente e carismatica, interpretata con ampio utilizzo di effetti speciali da Andy Serkis. Il film segue la falsariga dei primi due: meglio le scimmie intelligenti di tanti esseri umani. Qui poi il nobile scimpanzé dovrà vedersela con un colonnello sanguinario con aspirazioni da dittatore militare interpretato da Woody Harrelson, uno che sa far accapponare la pelle quando vuole.

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