28 settembre 2018 17:20

L’uomo che uccise Don Chisciotte è un film di grande ricchezza e generosità. Terry Gilliam è un uomo di grande ricchezza di spirito e generosità. Visionario, dicono. Adam Driver, nei panni di un regista arrivato, cinico e arrogante che riscopre lo spirito che lo animava all’inizio della sua carriera, e Jonathan Price, nei panni di un povero ciabattino che crede di essere un eroe immortale, regalano interpretazioni di altissimo livello. Il mio consiglio è di sedervi in poltrona e lasciarvi risucchiare da questo sogno, unico e imperfetto, come tutti i sogni (compresi quelli ricorrenti). Ma l’invito migliore per vedere L’uomo che uccise Don Chisciotte ce l’ha fatto direttamente il suo autore, in un’Anatomia di una scena (ricca e generosa).

Per visualizzare questo contenuto, accetta i cookie di tipo marketing.

Spike Lee è sicuramente uno dei più grandi autori statunitensi della sua generazione. Difficilmente i suoi film mettono tutti d’accordo, anche perché probabilmente (un po’ come il suo collega britannico di cui sopra) è uno che preferisce sbagliare con la sua testa, invece che omologarsi. Ha una coscienza politica e la consapevolezza che gli Stati Uniti non sono post-razziali neanche per sogno. Perciò BlackKklansman – che racconta con una chiave da commedia la storia vera di un agente afroamericano infiltrato nel ku klux klan negli anni settanta – è il film perfetto per Spike Lee, soprattutto in questo momento storico, e Spike Lee è il regista perfetto per questo film, soprattutto in questo momento storico.

Per visualizzare questo contenuto, accetta i cookie di tipo marketing.

Julien, un geologo sempre in giro per il mondo per lavoro, appena atterrato a casa, in Francia, riceve un messaggio della sua ex moglie: lo informa che il figlio di sette anni è sparito mentre era in settimana bianca con la scuola. Julien parte subito per cercare di capire che fine ha fatto il bambino. Mio figlio ha una particolarità. Christian Carion lo ha girato in meno di una settimana, senza raccontare i dettagli della trama a Guillaume Canet, che interpreta Julien, ma dandogli solo delle indicazioni sul carattere del suo personaggio. Piazzando quindi l’attore praticamente in diretta davanti alle situazioni e alle svolte del film. L’idea di Carion funziona anche perché Canet si è dimostrato all’altezza della sfida.

Per visualizzare questo contenuto, accetta i cookie di tipo marketing.

In La casa dei libri, di Isabel Coixet, Emily Mortimer interpreta Florence, una giovane vedova con la passione per la letteratura, decisa ad aprire una libreria in un piccolo villaggio di pescatori, nell’Inghilterra degli anni cinquanta. Florence deve però affrontare l’ostilità crescente della comunità, fomentata da Violet, una ricca dama locale, che ha altro in mente per il suo villaggio e per l’edificio che ospita la libreria. Patricia Clarkson nei panni dell’ambigua Violet è una delle cose migliori del film, insieme a un’atmosfera strana, che sembra quasi sbagliata, ma sbagliata non è. È l’effetto della spagnola Isabel Coixet (chi non ha visto La vita segreta delle parole dovrebbe rimediare) su una trama e un’ambientazione totalmente britanniche. Mi infastidisce un po’, invece, questa retorica sui libri, sulle librerie e sui librai che salvano la vita a qualcuno passandogli sottobanco un libro proibito, che di solito è Lolita. Per carità, lunga vita ai libri, però questa cosa mi sembra un po’ abusata.

Su Girl, il ritratto di un’adolescente transgender e sulle sofferenze a cui si sottopone per diventare ballerina e sentirsi finalmente a suo agio con se stessa, vi rimando alla recensione di Francesco Boille, che pubblicheremo nel weekend.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it