10 gennaio 2020 18:47

Nel primo autunno dopo la fine della seconda guerra mondiale, Ija lavora in un ospedale di Leningrado. L’assedio nazista è finito, ma è evidente che le ferite subite del lungo conflitto non sono scomparse con l’arrivo dell’armata rossa a Berlino. La pace è durissima, per qualcuno ancora più della guerra. Paradossalmente i reduci che occupano le corsie dell’ospedale sembrano quelli che stanno meglio. Anche Ija, o dilda, “spilungona” in russo, soffre, silenziosamente. Non possono aiutarla i colleghi di lavoro né i tanti coinquilini della komunalka, uno dei tipici appartamenti condivisi dell’epoca sovietica, dove abita insieme al piccolo Paška. Su di lei sembra poter avere un’influenza positiva la sua amica Maša, appena tornata dal fronte. Ma anche Maša ha i suoi problemi e i suoi traumi. Ognuno ha il suo fardello.

Per visualizzare questo contenuto, accetta i cookie di tipo marketing.

La ragazza d’autunno è un film complicato, faticoso, tosto, come il libro di Svjatlana Aleksievič, La guerra non ha un volto di donna, da cui trae molti spunti. Ma splendido, come la fotografia dorata in cui è avvolto, in cui spiccano il rosso e il verde dei maglioni, dei vestiti, delle pareti verniciate. Splendido come sono splendide le due protagoniste, Viktoria Miroshnichenko e Vasilisa Perelygina. Impressionante il lavoro di Kantemir Balagov, che ha meno di trent’anni e che al suo secondo lungometraggio è già un grande. Il film è stato premiato a Cannes, al festival di Torino e ora è nella shortlist dei dieci film “stranieri” che possono arrivare al premio Oscar. Lunedì 13 gennaio, nel primo pomeriggio, sapremo se avrà la nomination. Nel frattempo il consiglio è di provare a vederlo comunque nelle poche sale dove è arrivato.

Per visualizzare questo contenuto, accetta i cookie di tipo marketing.

Decisamente più facile andare a vedere Hammamet di Gianni Amelio, distribuito da 01 in più di quattrocento sale. Il film racconta l’ultimo scorcio della vita di Bettino Craxi, quando lasciò definitivamente l’Italia esiliandosi in Tunisia, in quella Hammamet che nell’immaginario collettivo non è stata più la stessa. Il film di Gianni Amelio è destinato a far discutere, da tanti punti di vista. Fuori discussione invece l’impressionante performance di Pierfrancesco Favino su cui, del resto, nessuno nutriva particolari dubbi. Sono molto divertenti da rintracciare, tra social e simili, dei piccoli filmatini in cui, tra un ciak e l’altro, il personaggio vive fuori dal film, ritorna nel mondo e ci viene a stuzzicare, come un fantasma.

Per visualizzare questo contenuto, accetta i cookie di tipo marketing.

Altro peso massimo del finesettimana, Piccole donne di Greta Gerwig. L’ultima volta che il romanzo di Louisa May Alcott è stato portato sullo schermo era il 1994 e le sorelle March avevano i volti di Winona Ryder (Jo), Trini Alvarado (Meg), Claire Danes (Beth) e Kirsten Dunst (Amy). I maschi erano Christian Bale (Laurie) e Gabriel Byrne (Bhaer). Ora invece ci sono Saoirse Ronan, Emma Watson, Eliza Scanlen e Florence Pugh, mentre i maschi sono Timothée Chalamet e Louis Garrel. Se pensiamo che nella versione del 1949 il ruolo che ora è di Garrel era di Rossano Brazzi possiamo immaginare perché Gerwig ha deciso di portare di nuovo al cinema il celebre romanzo. Più o meno ogni generazione ha diritto a un adattamento di Piccole donne, di una foggia più adatta al suo tempo.

Per visualizzare questo contenuto, accetta i cookie di tipo marketing.

Esce anche City of crime di Brian Kirk. Chadwick Boseman (Black Panther) è Andre Davis, un detective di New York con il grilletto facile. Sulla scena di una rapina andata male rimangono i cadaveri di otto poliziotti e a dare la caccia ai criminali deve essere proprio Davis. Grande profusione di pallottole per un poliziesco abbastanza classico, di quelli in cui ci sono anche i poliziotti cattivi.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it