09 giugno 2023 14:18

L’Ora è stato un quotidiano fondato a Palermo nel 1900 dalla famiglia Florio che si è distinto per il suo impegno nella lotta contro la mafia. Nella sua redazione si sono formati giornalisti che con le loro inchieste si sono esposti in prima persona, subendo minacce e in alcuni casi finendo assassinati da cosa nostra, come è successo a Giovanni Spampinato, Cosimo Cristina e Mauro De Mauro.

Nella “scuola” del giornale palermitano comincia anche Letizia Battaglia alla fine degli anni sessanta; qualche anno dopo si unisce a lei Franco Zecchin, collega milanese che sarà a lungo il suo compagno anche nella vita privata.

Negli anni ottanta la redazione dell’Ora ha bisogno di allargare la squadra dei fotografi, soprattutto perché bisogna essere sempre reperibili per coprire la cronaca della città. Battaglia è già alla guida del Laboratorio d’Informazione Fotografica, una realtà didattica intorno alla quale si ritrovano giovani fotografi locali. Tra questi c’è Fabio Sgroi, musicista punk che nei primi anni del decennio si avvicina alla fotografia.

Messa da parte la carriera musicale, il ragazzo viene coinvolto da Battaglia e Zecchin per collaborare con L’Ora. Dal 1985 al 1988 Sgroi si ritrova così al centro del racconto drammatico della sua città, segnata dalla violenza scoppiata qualche anno prima nella “seconda guerra di mafia”, con l’ascesa del boss dei corleonesi Totò Riina. È una fase in cui gli omicidi non sono più rese dei conti tra i vari clan ma si estendono alla società civile e ai rappresentanti delle istituzioni. La Palermo di quel periodo è un luogo cupo, dove di notte spariscono le persone, le strade non sono neanche tutte asfaltate e si susseguono le sirene della polizia.

Fabio Sgroi passa dal punk a lavorare con un cercapersone per essere presente quando c’è bisogno di lui per raccontare una notizia. “Un giorno ti mandavano a fotografare la spazzatura, un altro un politico o uno spettacolo e un altro, il morto ammazzato”, ricorda il fotografo. In questa normalità convulsa da fotoreporter, il segreto è adattarsi a ogni situazione e per farlo bisogna essere veloci, mettere da parte gli scatti giusti prima che le autorità ti caccino dalla scena del crimine. “La regola era che con una fotografia dovevi raccontare un po’ tutto perché non sapevi quante te ne pubblicavano”. Appena ventenne, Sgroi impara a non lasciarsi coinvolgere dalle situazioni più truculente e complicate. Questa è l’unica vera scuola di fotografia che frequenta, da cui apprende un metodo di lavoro e mette a punto il suo stile.

L’esperienza nel quotidiano palermitano finisce nel 1988 e conclude anche la carriera di Sgroi come fotogiornalista. Quei quattro anni hanno rappresentato un passaggio, un’esperienza fondamentale che lo scorso novembre grazie a Union editions è diventata un libro, Chronicles of the newspaper L’Ora Palermo 1985–1988. Questo volume e le precedenti pubblicazioni (Palermo 1984–1986, early works e Palermo 90) dedicate al punk e altre sottoculture giovanili rappresentano dei capitoli che restituiscono una visione allargata della città in quegli anni. Una Palermo afflitta dalla mafia certamente, ma anche laboratorio di esperienze culturali alternative che erano ignorate dai media.

In questi giorni le foto di Sgroi sono incluse nella mostra collettiva Palermo mon amour, alla fondazione Merz di Torino fino al 24 settembre, di cui fanno parte anche i lavori di Letizia Battaglia, Franco Zecchin, Enzo Sellerio e Lia Pasqualino.

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