La nuova docuserie di Netflix, jeen-yuhs. A Kanye trilogy, è davvero geniale, almeno per i primi due terzi. Non è una brutta media per un progetto così ambizioso. Basato su filmati registrati da vecchi amici che hanno seguito con una telecamera la volubile star del rap per più di vent’anni, jeen-yuhs dura più di quattro ore, suddivise in blocchi di circa novanta minuti ciascuno. I primi due episodi coprono un periodo intenso dalla fine degli anni novanta fino alla metà degli anni duemila, quando West cercava di convincere il mondo dell’hip hop che era più di un semplice produttore di talento. Anche se oggi sembra impossibile, all’epoca le etichette discografiche non erano sicure che quel ragazzo magro capace di creare beat incredibili per Jay-Z, Jermaine Dupri e Foxy Brown potesse davvero diventare un rapper di successo. Le cose peggiorarono dopo che West ebbe un incidente d’auto che gli danneggiò la mascella. L’ultima puntata va dalla metà degli anni duemila al 2020, quando i suoi amici – i registi Clarence “Coodie” Simmons e Chike Ozah – ormai si erano allontanati da lui e non erano più in grado di fornire la prospettiva intima che rende le prime due parti del documentario un tesoro. Nell’ultima parte i momenti più preziosi sono quando Simmons lascia andare la telecamera mentre West salta da un argomento all’altro. Sembra che la sua mente stia correndo troppo velocemente perché la bocca possa tenere il passo.
Eric Deggans, Npr

Jeen-yuhs (Netflix)

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Questo articolo è uscito sul numero 1449 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati