Per l’ottavo (e ultimo?) volume delle avventure di Benjamin Malaussène, Pennac ci porta ancora una volta a Belleville e oscilla tra passato e presente. Benjamin è ancora lì, così come Talion e il cane Julius, ma anche Verdun, alias il giudice Talvern, Mara, Set, Mosma e tanti altri che si sono aggiunti, libro dopo libro. Nell’episodio precedente c’era stato il rapimento di un uomo d’affari, Georges Lapiéta, e la situazione si era complicata tra veri delinquenti, finti poliziotti e artisti in erba. Eccoli di nuovo in giro per Belleville mentre un certo Pépère, un uomo che ha “la morte nel sangue”, si aggira nell’ombra. Pennac non ha mai variato i suoi gusti e le sue scelte. Ama l’aneddoto, la trasgressione, il perenne conflitto tra emotivo e sociale, senza dimenticare il piacere di raccontare storie che s’incastrano come bambole russe e di infilare qualche monologo che scuote ancora di più la narrazione. I personaggi hanno cuore, umorismo e un passo veloce come la scrittura del loro creatore. Ma cosa fare quando ci si trova di fronte a un nonno che predica l’autocontrollo, lo stoicismo e la capacità di uccidere senza passione? Il segreto potrebbe risiedere nel gratin dauphinois, nello spritz o nelle storie d’amore in cui ci si mente l’un l’altro. È impossibile dire di più su questo romanzo radioso, perché il finale è un fuoco d’artificio. All’improvviso, Pennac mette insieme il passato e il presente, lo spirito familiare e la tentazione della libertà. Il suo senso del romanticismo e la sua astuzia letteraria sono al massimo.
Christine Ferniot, Télérama

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Questo articolo è uscito sul numero 1506 di Internazionale, a pagina 90. Compra questo numero | Abbonati