Winston Churchill è uno dei due attori principali del romanzo di Philippe Forest. L’altro è un pittore, Graham Sutherland, che nel 1954 ricevette l’incarico ufficiale di dipingere il ritratto del primo ministro, ormai debole e malato: il quadro gli sarebbe stato consegnato in autunno, in pompa magna, in occasione di una cerimonia organizzata per il suo ottantesimo compleanno. Ispirandosi a Shakespeare, ai suoi spettri e ai suoi incantesimi, Forest dà al dialogo tra i due uomini la forma di una rappresentazione teatrale. Una tragedia in quattro atti, tra i quali interviene un coro tragico: una voce che si alza al cambio di scena, anonima e incarnata. Non un personaggio, ma un “uomo che parla per tutti gli altri”, e che decifra la propria storia nello specchio del faccia a faccia che si svolge sul palcoscenico. Nel salotto e nel giardino di Chartwell, la residenza privata di Churchill, poi nel salone d’onore di Westminster e nella biblioteca di Chequers Court, durante le lunghe sessioni di posa e la cerimonia che segue, l’anziano statista e il circospetto artista parlano. La guerra, la storia, l’impero in disfacimento, la gloria e la sua vanità, l’arte. I due uomini hanno in comune – lo scoprono e i lettori con loro – di aver perso un figlio. Questo spiega la scelta di renderli protagonisti di una struggente meditazione sul buio e sul nulla.
Nathalie Crom, Télérama

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Questo articolo è uscito sul numero 1526 di Internazionale, a pagina 79. Compra questo numero | Abbonati