Nel dibattito sulle difficoltà dell’economia tedesca è intervenuto lo scrittore e giornalista Georg Diez, che in un articolo uscito su **Die Zeit **sposta l’attenzione sul ruolo futuro dello stato. “In tempi tranquilli”, scrive Diez, “un dibattito simile può sembrare puramente accademico. Quando invece le cose non vanno bene, come ora, risulta estremamente concreto. Di recente l’Economist si è chiesto se non sia il caso di definire di nuovo la Germania ‘il malato d’Europa’, come il settimanale britannico aveva già fatto nel 1999. All’epoca, come oggi, il paese era in crisi e a un governo conservatore era seguito un cancellierato a guida socialdemocratica. All’epoca Gerhard Schröder era succeduto a Helmuth Kohl, oggi Olaf Scholz ha preso il posto di Angela Merkel”.

Alla fine degli anni novanta la Germania soffriva per le conseguenze della riunificazione, per il calo delle esportazioni e per la disoccupazione elevata. “Oggi”, osserva Diez, “deve affrontare una questione importante per l’umanità intera, come la crisi climatica, oltre alla carenza di lavoratori specializzati e alle infrastrutture fatiscenti. Gli anni duemila sono stati caratterizzati dalle riforme neoliberiste del mercato del lavoro volute da Schröder. Queste misure hanno impresso una forte spinta all’economia tedesca, ma allo stesso tempo hanno provocato divisioni permanenti: gli anni dieci del nuovo millennio sono stati un periodo di grande crescita economica, in cui però sono state ignorate le questioni dell’ingiustizia sociale e di una più equa distribuzione della ricchezza”.

Il decennio in corso, invece, presenta altri problemi. Nella forma e nel funzionamento dello stato sono emersi molti elementi critici, che secondo larga parte della popolazione ormai non sono più sanabili, spiega Diez: dall’inaffidabilità delle ferrovie alla carenza di insegnanti nelle scuole, fino alla gestione caotica dei grandi progetti infrastrutturali, alle strade in dissesto, alla pubblica amministrazione inefficiente e alla mancanza di progettualità dell’intervento pubblico. “Serve un’ampia riforma dello stato, che vada al di là delle questioni legate ai soldi”, scrive Diez. “Lo stato deve cambiare e adattarsi alle condizioni attuali. Per esempio, aprirsi alle tecnologie e trattare la digitalizzazione non solo come un’opportunità. Deve rendere la pubblica amministrazione più veloce ed efficiente: il possesso e la gestione dei dati offrono la possibilità di superare le barriere tra cittadini e pubblica amministrazione, e rendere più chiaro il fatto che lo stato è al servizio della popolazione”.

Un fatto positivo

Si può discutere se e quanto questa sorta di deglobalizzazione in corso nel mondo sia un fatto positivo. In Germania, prosegue il giornalista, non c’è un dibattito pubblico sul legame tra lo stato, le tasse e l’economia, una mancanza che crea delle spaccature nella politica, nonostante la coalizione al governo a Berlino sia, secondo Diez, nella posizione ideale per sviluppare una nuova concezione dello stato: “I socialdemocratici dell’Spd sono il partito della coesione sociale favorita dall’intervento pubblico; i Verdi sono un movimento mosso da nuove istanze della società; i liberal-democratici dell’Fdp, infine, sono il contrappeso liberale e il partito dei diritti civili”.

In realtà la loro alleanza va in crisi proprio davanti alla questione di cosa dovrebbe essere lo stato nel ventunesimo secolo. Scrive ancora Diez: “La posta in gioco è alta: ora si decide che paese vuole essere in futuro la Germania, sotto l’aspetto economico, sociale e politico, quali sono le sue infrastrutture materiali e immateriali e come migliorarle attraverso gli investimenti”. È un progetto che non dovrebbe essere guidato da un solo partito, come intendeva il cancelliere Scholz con la sua “infelice proposta di un patto per la Germania”. Su questioni così importanti bisogna negoziare, perché si tratta non solo di dirimere un paio di contrasti o riformare qua e là lo stato. “Qui”, conclude Diez, “si parla di ripensare lo stato nel ventunesimo secolo. Non ci vuole semplicemente più stato, ma uno stato migliore, che funzioni per tutti”. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1530 di Internazionale, a pagina 50. Compra questo numero | Abbonati