Il film si apre sul volto di porcellana di una vedova, dentro un’agenzia di pompe funebri. Il celebre compositore è appena morto, a San Pietroburgo, ma continuerà a perseguitare sua moglie proprio come quando era vivo. In un flashback denso e inquietante di più di due ore Kirill Serebrennikov torna sulle loro nozze fatali che si celebrarono nella chiesa di San Giorgio, a Mosca, nel 1877. Antonina (Aljona Mikhailova) è una giovane di una famiglia molto ricca che studia pianoforte al conservatorio nonostante lo sciovinismo degli insegnanti. Quando le propone di sposarlo, Čajkovskij è già un compositore affermato, sul punto di diventare una leggenda nazionale. Lo ha fatto per convenzione sociale, dato che non ricambia l’amore di Antonina per lui. Consumata dai suoi sentimenti, Antonina sopporterà ogni cosa pur di rimanere insieme al marito, di cui si ostina a negare l’omosessualità. Il regista decide di non mostrare praticamente mai il maestro al lavoro. E anzi si spinge oltre privandolo (cinematograficamente) delle mani. Insiste invece sui primi piani della moglie per farci vivere fino in fondo la sua frustrazione: non può suonare il piano (un mestiere da uomini, le dicono) e toccare il corpo del marito, che letteralmente soffoca al minimo contatto. Non è difficile vedere nelle scelte di Serebrennikov, artista dissidente, una sorta di punizione nei confronti di un eroe nazionale.
Murielle Joudet, Le Monde

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Questo articolo è uscito sul numero 1532 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati