Bibi Abbas Abbas Hosseini, la protagonista del secondo romanzo della scrittrice iraniana americana Azareen Van der Vliet Oloomi, è nata nella biblioteca della casa di famiglia, tra il mar Caspio e i monti Alborz dell’Iran, all’inizio della guerra del paese contro l’Iraq. Figlia unica, è l’ultima di una lunga serie di sapienti autodidatti il cui credo è: “Non amare nulla tranne la letteratura”. All’età di cinque anni, mentre la guerra si aggrava, Bibi fugge con i genitori verso il confine turco, ma sua madre muore quando un edificio le crolla addosso mentre è fuori casa in cerca di cibo. Bibi e suo padre proseguono da soli, attraversando il Kurdistan, la Turchia e la Spagna. Alla fine, anni dopo, si fermano a New York. È qui, quando Bibi ha poco più di vent’anni, che suo padre muore. Mentre osserva la luce che cade a strisce sulla bara, Bibi decide di assumere una nuova identità: si chiamerà Zebra, un nome che “rappresenta l’inchiostro sulla carta” e che la renderà “una martire del pensiero”. Così armata, intraprenderà un altro viaggio, tornando nei luoghi che aveva visitato come rifugiata, ispirata non dal bisogno di scoprire se stessa ma dalla sete di vendetta. La sua mappa sarà la letteratura. Azareen Van der Vliet Oloomi racconta le cervellotiche e sventurate lotte di Zebra nella forma di un tragicomico romanzo picaresco la cui fervida logica e il cui capriccio cerebrale ricordano le opere di autori come Roberto Bolaño e Jorge Luis Borges.
Liesl Schillinger, The New York Times

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Questo articolo è uscito sul numero 1534 di Internazionale, a pagina 90. Compra questo numero | Abbonati