L’epica pop massimalista di 1989 risale a un periodo dell’universo di Taylor Swift molto lontano da quello di oggi. Era il 2014 e Spotify fu la prima multinazionale a subire l’ira divina della musicista statunitense, che tolse il suo catalogo dal servizio di streaming per contestarne la politica sui diritti economici degli artisti. Poi uscì il disco che trasformò Swift da ottima artista pop country a grande industria.

La perfezione raggiunta da 1989, grazie anche alla produzione dello svedese Max Martin (responsabile anche di …Baby one more time di Britney Spears), significava semplicemente che quello sarebbe stato l’album più difficile da replicare. Nonostante questo anche 1989 è stato riregistrato e ripubblicato, come altri tre dei suoi primi lavori. In questa nuova versione, gli ormai abituali produttori Christopher Rowe e Jack Antonoff non fanno decollare le tracce che nel 2014 avevano giovato del tocco di Martin (tra cui Style e New romantics), mentre quelle che non aveva prodotto lui sono sicuramente migliorate (come Out of the woods o Welcome to New York). Un altro aspetto negativo è la voce: se le versioni aggiornate degli altri dischi di Taylor Swift avevano beneficiato della maturità dell’artista, qui si punta solo a dei miglioramenti tecnici, perdendo l’energia dell’originale. È un’operazione non del tutto riuscita, che serve a ricordarci l’intoccabile grandezza di 1989.
Adam White, The Independent

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Questo articolo è uscito sul numero 1536 di Internazionale, a pagina 94. Compra questo numero | Abbonati