Gli [Ahmed] sono un quartetto jazz amante delll’improvvisazione e capace di creare un suono travolgente: trame fitte di sax, ammassi pianistici esplosivi, basso pulsante e batteria instancabile. La loro musica genera un’energia euforica simile a quella dell’elettronica, combinando la libertà del free jazz con la fisicità ritmica. Per loro, il ritmo è la struttura portante: niente assoli virtuosistici, ma interazione serrata. Il nuovo album Sama’a (Audition) è il primo registrato in studio, dopo vari dal vivo, e reinterpreta Jazz Sahara (1958) di Ahmed Abdul-Malik, contrabbassista e suonatore di oud statunitense che fuse jazz bebop, linguaggi modali e influenze arabe e africane. Abdul-Malik, musicista visionario e sufi praticante, cercò di riallacciare la musica nera americana alle proprie radici islamiche; gli [Ahmed] trasformano questo materiale in un jazz radicale, lontano da qualsiasi museo della tradizione. I quattro brani del disco, lunghi tra i 14 e i 19 minuti, mostrano una concentrazione ancora maggiore rispetto ai live: la registrazione in studio offre chiarezza sonora e nuovi spazi di dialogo. Il brano Isma’a si apre con un poderoso duo basso-batteria, tra swing antico e poliritmie contemporanee, su cui il sax esplode in corse frenetiche prima di ricomporsi nella melodia. El Haris esplora invece territori astratti, fatti di rumori, preparazioni e frammenti melodici che emergono lentamente. Sama’a (Audition) ritrae gli [Ahmed] al massimo della loro forma: un gruppo che attraverso Abdul-Malik ha trovato un universo sonoro infinito in cui muoversi con intensità, invenzione e coesione.
Stewart Smith, The Quietus

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it

Questo articolo è uscito sul numero 1643 di Internazionale, a pagina 96. Compra questo numero | Abbonati