Al termine di un processo durato 156 giorni, Jimmy Lai, attivista democratico e magnate dell’informazione di Hong Kong, è stato condannato all’ergastolo per sedizione e collusione con forze straniere, scrive The Diplomat. Il processo a Lai si è basato sulla legge sulla sicurezza nazionale, introdotta per volere di Pechino nel 2020. Durante le proteste del 2019 a favore della democrazia l’Apple Daily, il quotidiano di proprietà di Lai, ha pubblicato regolarmente le opinioni dei manifestanti,  criticato apertamente i governi di Hong Kong e Pechino e ha invitato i lettori a scendere in piazza. L’Apple Daily e Lai sono diventati il simbolo dell’ideale democratico di stampa libera, in grado di criticare chi è al potere senza timore di censura o sanzioni. La sua condanna rappresenta un duro colpo per quegli ideali. Dopo l’introduzione della legge sulla sicurezza nazionale la libertà di stampa è stata gradualmente limitata, e la storia di Lai è il segno che ora è finita del tutto. Nel 2002 Hong Kong era al 18° posto nella classifica sulla libertà di stampa stilata dall’ong Reporter senza frontiere. Nel 2005 era scesa al 39° posto e poi al 73° nel 2019 e oggi al 140° posto. Dopo il 2020 molti mezzi d’informazione e ong pro democrazia sono scomparsi. Tra questi l’Apple Daily, chiuso nel 2021, e l’ultimo partito d’opposizione di Hong Kong, il Partito democratico, sciolto il 14 dicembre a causa delle pressioni di Pechino. La condanna di Lai è un chiaro messaggio del governo: le opinioni dissidenti non saranno tollerate. E la sua condanna rappresenta anche un duro colpo per la fiducia dei cittadini nel sistema giudiziario, la cui indipendenza è sancita nella costituzione di Hong Kong. Uno degli slogan a sostegno di Lai circolati sui social media è stato “lo stato di diritto è morto”. E con questa condanna, conclude The Diplomat, è chiaro che l’eccezionalità del territorio sancita da “un paese, due sistemi” è finita. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1645 di Internazionale, a pagina 22. Compra questo numero | Abbonati