Ogni tanto in tv, nei film o nelle canzoni tornano gli alieni. C’è stato un tempo in cui erano considerati una minaccia: c’era una guerra tra mondi, e gli alieni volevano mettere le mani sul nostro pianeta, rubarci l’anima e le risorse. Come dimenticare Essi vivono di John Carpenter, in cui degli occhiali da sole fatati permettevano di vedere le macchinazioni degli alieni? Più tardi gli alieni sono stati invocati per portarci in mondi lontani, per farci dimenticare questo pianeta senza speranza: “Extraterrestre portami via”, cantava Eugenio Finardi. Oggi a me sembra che gli alieni siano diventati degli spettatori. L’alieno, l’altro per eccellenza, è invocato per mostrare l’assurdità di una presupposta normalità, è lo straniero che ci è necessario quanto il respirare. Nel Simposio , il dialogo sull’amore di Platone, l’unico personaggio che non fa discorsi solo retorici e celebrativi è Diotima, la donna tre volte straniera. È straniera perché non è ateniese come gli altri, perché è donna in un banchetto di maschi, e perché è assente, e le sue parole sono evocate da Socrate. Diotima ci offre l’esempio perfetto di come dovremmo conoscere: attraverso un processo che ci rende stranieri a noi stessi. È necessario trovare un occhio che ci sottragga alla visione consueta, al punto di vista che sempre vediamo. Abbiamo bisogno di uno sguardo dall’altrove. Da altre galassie, ma anche dalle tante lune di quaggiù.

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Questo articolo è uscito sul numero 1566 di Internazionale, a pagina 18. Compra questo numero | Abbonati