In un caldo mercoledì mattina di ottobre, Herman Pontzer indossa un camice stropicciato, si aggiusta la mascherina ed entra nel suo laboratorio all’università di Duke, in North Carolina, sperando di mettere ansia a una studente. La ragazza, che si chiama Christina, ha la testa infilata in un casco di plastica trasparente ed è appoggiata a un bancone del laboratorio. Pontzer la saluta e poi le fa salire la pressione sanguigna usando un trucco infallibile: la sottopone a un esame orale di matematica. “Parta dal numero 1.022 e sottragga di volta in volta tredici fino ad arrivare a zero”, dice parlando a voce alta per superare il chiasso di un condizionatore rumoroso. “Se sbaglia deve ricominciare. È pronta?”.

Christina comincia: “1.009, 997”.

“Ricominci da capo”, dice Pontzer.

La ragazza, che ha accettato di partecipare allo “stress test”, ride nervosamente. Ci riprova e arriva a 889, poi Pontzer la ferma. La storia si ripete più volte. Poi Pontzer le chiede di fare una moltiplicazione ad alta voce: 505 per 117. A questo punto la studente stringe le dita dei piedi nei calzini. Il dottor Zane Swanson e la studente Gabrielle Butler monitorano la sua frequenza cardiaca e la quantità di anidride carbonica (CO2) che espira nel casco. Pontzer le fa una serie di domande pensate per far salire i livelli di stress di ogni studente: qual è il lavoro dei tuoi sogni? Cosa farai dopo la laurea?

Gli esperimenti di Pontzer e dei suoi studenti servono a misurare quanta energia consumano le persone quando sono stressate, fanno esercizio fisico o stanno sviluppando la risposta immunitaria a un vaccino. Misurando la CO2 nel respiro di Christina, possono scoprire quanta energia ha bruciato quando era in ansia per il test di matematica.

Pontzer, 44 anni, è un antropologo biologico e per lavoro ha sempre contato le calorie. Non per dimagrire: è alto 1,85, pesa circa 75 chili, gli piace correre e fare arrampicata. È “un uomo di corporatura normale tendente al magro”, si legge in una recensione online del suo libro, uscito nel 2021, intitolato Burn. New research blows the lid off how we really burn calories, stay healthy and lose weight (Bruciare. Una nuova ricerca rivela come bruciamo veramente calorie, rimaniamo in salute e perdiamo peso).

Per la sua tesi di dottorato, Pontzer misurò la quantità di CO2 espirata da cani e capre mentre correvano e camminavano

Pontzer parla volentieri di come perdere peso nel programma televisivo Dr. Oz show e alla National public radio (Npr), ma la sua vera missione è capire perché, tra i grandi primati, gli esseri umani sono gli unici che riescono ad avere tutto, dal punto di vista energetico: un cervello grande, un’infanzia lunga, molti figli e una vita duratura. Il budget energetico che serve per garantire queste caratteristiche comporta un bilanciamento che Pontzer sta cercando di scoprire, tra l’energia necessaria per l’esercizio fisico, la riproduzione, lo stress, la malattia e le funzioni vitali.

Prendendo in prestito un metodo sviluppato dai fisiologi che studiano l’obesità, Pontzer e i suoi colleghi misurano sistematicamente l’energia totale usata ogni giorno da animali e da persone con diversi stili di vita. Le risposte che ricavano da quei dati sono spesso sorprendenti: in media l’esercizio fisico non aiuta a consumare più energia. Le persone che in Africa vivono cacciando e coltivando non consumano più energia al giorno rispetto agli impiegati sedentari dell’Illinois. Le donne incinte non bruciano più calorie al giorno di qualsiasi altro adulto con la stessa massa corporea.

La bravura di Pontzer come divulgatore può infastidire alcuni suoi colleghi. Per John Thyfault, fisiologo del centro medico dell’università del Kansas, dicendo che l’esercizio fisico non aiuta a perdere peso si rischia di spingere chi è a dieta a mantenere abitudini poco sane.

Ma altri sostengono che il lavoro di Pontzer, oltre a sfatare i miti sul dispendio energetico degli esseri umani, offre un nuovo strumento per capire la fisiologia e l’evoluzione umana. “Il suo lavoro è rivoluzionario”, dice la paleoantropologa Leslie Aiello, ex presidente della fondazione Wenner-Gren, che ha finanziato la ricerca di Pontzer. “Grazie a lui abbiamo dati che ci forniscono un quadro nuovo per capire come gli esseri umani si sono adattati ai limiti energetici”.

Una tecnica migliore

Figlio di due insegnanti d’inglese delle superiori, Pontzer è cresciuto in quaranta ettari di bosco tra le colline degli Appalachi vicino alla cittadina di Kersey, in Pennsylvania. Suo padre, che ha dato una mano durante la costruzione della loro casa, gli ha insegnato a cercare di capire come funzionano le cose e come si possono aggiustare. “A casa mia nessuno ha mai chiamato un idraulico o un elettricista”, ricorda.

Quelle lezioni d’indipendenza e la sua natura estroversa gli permisero di affrontare la morte del padre, quando Pontzer aveva solo 15 anni. È stato d’aiuto anche il fatto di andare a fare arrampicata con un cugino più grande. Quell’attività gli ha insegnato a essere audace e organizzato, abilità che in seguito lo avrebbero spinto a correre rischi intellettuali e a mettere in discussione teorie consolidate. “Quando fai una brutta esperienza e la vita ti porta fuori dai binari, sei spaventato”, dice Pont­zer, “ma devi andare avanti, e facendolo impari a non aver paura delle cose nuove”.

Dopo il liceo Pontzer fece domanda solo all’università pubblica della Pennsylvania. “Pensavo che avrei fatto come mio padre: sarei andato alla Penn State, avrei preso la laurea per insegnare e sarei rimasto a Kersey”, racconta. Ma una volta all’università si ritrovò a lavorare con il famoso paleoantropologo Alan Walker e cominciò a pensare d’iscriversi alla scuola di specializzazione in antropologia biologica. Quando venne a sapere che quello studente così promettente stava scegliendo la scuola di specializzazione in base alla sua vicinanza alle montagne, Walker gli disse che sarebbe stato un idiota a non fare domanda all’università di Harvard. E, se lo avessero accettato, sarebbe stato un idiota a non andarci.

Pontzer seguì il consiglio. All’inizio degli anni duemila gli scienziati sapevano ancora poco sul dispendio energetico totale (Det) degli esseri umani, sul numero di chilocalorie (le calorie che troviamo sulle etichette degli alimenti) che i 37mila miliardi di cellule di una persona bruciano in un giorno. I ricercatori avevano misurato la velocità con cui il nostro corpo brucia energia a riposo: il metabolismo basale (Bmr), che include l’energia usata per la respirazione, la circolazione e altre funzioni vitali. Sapevano che il Bmr era più o meno lo stesso tra i mammiferi più grandi con le stesse dimensioni corporee. Quindi avevano calcolato che gli esseri umani bruciano energia più o meno alla stessa velocità degli altri primati dello stesso peso.

Ma gli esseri umani hanno una cosa in più: il cervello, che ogni giorno usa il 20 per cento delle nostre energie. Aiello aveva ipotizzato che i nostri antenati avessero compensato il dispendio energetico dovuto al cervello con viscere e altri organi più piccoli. Altri pensavano che gli esseri umani avessero risparmiato energia sviluppando la capacità di camminare e di correre in modo più efficiente.

Pontzer avrebbe voluto verificare queste ipotesi, ma si rese conto che i dati a disposizione non bastavano: nessuno sapeva quanta energia totale consumassero i primati quando si muovono né come le differenze anatomiche e le dimensioni degli altri organi influissero sull’uso dell’energia. Capì che doveva partire da zero, misurando le calorie consumate da esseri umani e animali che camminavano e correvano sui tapis roulant. I mammiferi usano l’ossigeno per convertire gli zuccheri del cibo in energia, e la CO2 è il prodotto di questa attività. Più CO2 espira un mammifero, più ossigeno e calorie ha bruciato.

Per la sua tesi di dottorato, Pontzer misurò la quantità di CO2 espirata da cani e capre mentre correvano e camminavano. Scoprì, tra le altre cose, che i cani con le gambe lunghe consumavano meno energia per correre rispetto a quelli di taglia più piccola, come i corgi. Raccontò i risultati in un articolo del 2007, subito dopo aver ottenuto il suo primo incarico alla Washington university di St. Louis. Con il passare degli anni, “quello che era cominciato come un progetto per misurare l’energia consumata durante camminate e corse di esseri umani, cani e capre è diventato un’ossessione per il dispendio energetico”.

Pontzer misura ancora la CO2 espirata per calcolare le calorie bruciate in una particolare attività, come nello stress test di Christina. Ma ha scoperto che i fisiologi hanno trovato un modo migliore per misurare il Det nell’arco di un giorno: il metodo dell’acqua doppiamente marcata, che permette di ottenere quel dato senza bisogno di chiedere a un volontario di respirare in un casco per tutto il giorno.

Herman Pontzer, dicembre 2021 (Justin Cook, per Science)

Il fisiologo Dale Schoeller, che oggi lavora all’università del Wisconsin, a Madison, ha adattato quella tecnica, usata per la prima volta con i topi, agli esseri umani. I volontari bevono un cocktail di acqua marcata, in cui isotopi di idrogeno e ossigeno sostituiscono le forme comuni. I ricercatori campionano la loro urina più volte nell’arco di una settimana. L’idrogeno marcato passa attraverso il corpo e finisce nelle urine, nel sudore e in altri fluidi. Ma, quando una persona brucia calorie, parte dell’ossigeno marcato diventa CO2. Il rapporto tra ossigeno marcato e idrogeno marcato nelle urine permette di misurare la quantità di ossigeno che le cellule hanno usato in media in un giorno e quante calorie sono state bruciate. È il metodo di riferimento per stabilire il consumo totale di energia, ma un test costa 600 dollari ed è fuori dalla portata della maggior parte dei biologi evoluzionisti.

La prima di molte scoperte fatte da Pontzer con questa procedura arrivò nel 2008. Grazie a un finanziamento di ventimila dollari della fondazione Wenner-Gren, raccolse campioni di urina in quello che allora era il Great ape trust, una riserva naturale e centro di ricerca dell’Iowa. Il primatologo Rob Shumaker versava tè freddo senza zucchero con gli isotopi nella bocca di quattro oranghi. Pontzer era preoccupato all’idea di raccogliere urina da una scimmia adulta, ma il collega lo rassicurò dicendo che gli oranghi erano stati addestrati a fare pipì in una tazza.

Riserve da convertire

Quando arrivarono i risultati delle urine, Pontzer non poteva crederci: gli oranghi bruciavano un terzo dell’energia che ci si aspettava da un mammifero della loro taglia. Un nuovo studio diede gli stessi risultati: Azy, un maschio adulto di 113 chili, bruciava 2.050 chilocalorie al giorno, molte meno delle 3.300 che consuma normalmente un uomo di 113 chili. “Ero incredulo”, dice Pontzer. Gli oranghi erano forse i “più pigri di tutto l’albero genealogico delle scimmie”, pensò, perché in passato avevano sofferto di un periodo lungo in cui il cibo era poco e si erano evoluti per sopravvivere con meno calorie.

I successivi studi sull’acqua doppiamente marcata condotti sulle scimmie in cattività e nelle riserve naturali misero in discussione l’idea che i mammiferi con una massa corporea simile hanno tassi metabolici simili. Tra le grandi scimmie, gli esseri umani sono delle eccezioni. Con la stessa massa corporea, bruciano il 20 per cento in più di energia al giorno rispetto agli scimpanzé e ai bonobo, il 40 per cento in più dei gorilla e il 60 per cento in più degli oranghi, come scrissero Pontzer e i suoi colleghi in un articolo pubblicato nel 2016 dalla rivista Nature. Per Pontzer è altrettanto sorprendente la differenza nell’accumulo del grasso: gli uomini accumulano il doppio di grasso rispetto agli altri primati maschi e le donne tre volte di più rispetto alle femmine di scimmia. Questo dato sarebbe dovuto al fatto che il nostro metabolismo è più veloce: il grasso brucia meno energia del tessuto magro e costituisce una riserva di carburante. “I nostri meccanismi metabolici non sono stati creati da milioni di anni di evoluzione per garantirci un corpo da bikini pronto per la spiaggia”, scrive Pontzer in Burn.

La capacità di convertire le riserve di cibo e grasso in energia più velocemente di altre scimmie dà agli esseri umani vantaggi importanti: ogni giorno ci fornisce più energia per poter alimentare il nostro cervello più grande, e per nutrire e proteggere i figli, che hanno un’infanzia lunga e costosa dal punto di vista energetico.

Pontzer pensa che il comportamento e l’anatomia degli esseri umani aiutano a mantenere un metabolismo potente. Per esempio, condividiamo il cibo più spesso rispetto alle altre scimmie. E questo aumenta l’efficienza di un gruppo e sembra aver fornito ai primi esseri umani una rete di sicurezza energetica. Il nostro cervello ha creato un ciclo di feedback positivo: richiedeva più energia, ma permetteva lo sviluppo dell’intelligenza per inventare strumenti migliori, usare il fuoco, cucinare e adattarsi per risparmiare più energia.

Pontzer capì l’importanza della condivisione del cibo nel 2010, quando andò in Tanzania per studiare il bilancio energetico dei cacciatori-raccoglitori hadza. Una delle prime cose che notò fu la frequenza con cui usavano la parola za, che significa dare. È la parola magica che tutti gli hadza imparano da bambini per convincere qualcuno a condividere bacche, miele o altro cibo. La condivisione li aiuta a mantenersi attivi: mentre cacciano o vanno in cerca di cibo, le donne hadza camminano per circa otto chilometri al giorno; gli uomini per quattordici, più di quanto uno statunitense medio cammina in una settimana.

Per conoscere il loro dispendio energetico, Pontzer chiese agli hadza se erano disposti a bere la sua acqua insapore e a permettergli di raccogliere campioni di urina. E loro accettarono. Aveva avuto pochissimi finanziamenti per quello studio, perché altri ricercatori presumevano che la risposta fosse ovvia. “Tutti sapevano che gli hadza avevano un dispendio energetico eccezionalmente elevato perché erano molto attivi”, ricorda. “E invece non era così”.

Gli hadza passavano giorni di maggiore o minore attività e alcuni bruciavano il 10 per cento in più o in meno di calorie rispetto alla media. Ma, a parità di massa corporea magra, gli uomini e le donne consumavano in media la stessa quantità di energia al giorno degli uomini e delle donne di Stati Uniti, Europa, Russia e Giappone.

Il metabolismo dei bambini rimane alto, rispetto alle dimensioni corporee, fino a cinque anni, quando comincia un lento declino

Non tutti rimasero sorpresi. Amy Luke, epidemiologa della Loyola university di Chicago, aveva dimostrato che, a parità di massa magra, le contadine dell’Africa occidentale usavano la stessa quantità di energia al giorno delle donne di Chicago: circa 2.400 chilocalorie per una donna di 75 chili. Grazie all’articolo di Pontzer, pubblicato nel 2012 sulla rivista Plos One, anche il lavoro di Luke guadagnò visibilità. Da allora i due ricercatori hanno collaborato.

Di corsa

Studi condotti su altre popolazioni hanno dato risultati simili. Pontzer crede che il corpo dei cacciatori-raccoglitori compensi la maggiore attività consumando meno calorie per compiti non immediatamente osservabili, come un’infiammazione o la risposta allo stress. “Invece di aumentare le calorie bruciate ogni giorno, l’attività fisica degli hazda cambia il modo in cui le consumano”, dice. Lo ha dimostrato con una nuova analisi dei dati raccolti da un altro gruppo di ricerca, su alcune donne sedentarie, allenate per correre una mezza maratona di 21 chilometri. Dopo settimane di allenamento, correvano quaranta chilometri a settimana senza bruciare molte più calorie al giorno di quando avevano cominciato. Da un altro studio sui maratoneti che percorrevano 42,6 chilometri al giorno per sei giorni a settimana nella Race across the Usa, Pontzer e i suoi colleghi hanno scoperto che con il passare del tempo i corridori bruciavano gradualmente meno energia (4.900 calorie al giorno alla fine della gara rispetto alle 6.200 dell’inizio).

Man mano che gli atleti aumentavano i chilometri di corsa, il loro metabolismo soddisfaceva l’ulteriore costo in termini energetici tagliando altrove, spiega Pontzer. Al contrario, una persona che passa il tempo sul divano potrebbe comunque consumare quasi altrettante calorie al giorno, conservando più energia da spendere per processi come la risposta allo stress. Questa è “l’idea più controversa e interessante di Pontzer”, dice Daniel Lieberman, paleoantropologo di Harvard che è stato il relatore della tesi di Pontzer. “Stamattina ho corso per circa otto chilometri, consumando cinquecento calorie. Semplificando, significherebbe che il mio Det avrebbe 500 calorie in più. Ma secondo Pontzer gli esseri umani che sono più attivi non hanno un Det molto più alto del normale, anche se non sappiamo ancora come e perché sia così”.

Alimentare il cervello

Le scoperte di Pontzer potrebbero scoraggiare le persone che vogliono perdere peso. “Non basta fare esercizio fisico per uscire dall’obesità”, dice John Speakman, fisiologo evoluzionista dell’accademia cinese delle scienze. “È una di quelle idee zombi che si rifiutano di morire”. La ricerca sta già influenzando le linee guida delle diete per perdere peso. La National
food strategy del Regno Unito, per esempio, osserva che “non si può compensare una dieta sbagliata andando a correre”.

Ma secondo Thyfault questo messaggio potrebbe essere pericoloso. Tanto per cominciare, le persone che si muovono hanno meno probabilità di ingrassare, e chi fa esercizio fisico mentre è a dieta tende a mantenere il peso più facilmente. L’esercizio fisico può anche influire sulla parte del corpo in cui il grasso è conservato e sul rischio di diabete e malattie cardiache.

Pontzer concorda sul fatto che l’esercizio fisico è essenziale per rimanere in buona salute: gli hadza, che sono attivi e in forma anche a settanta e ottant’anni, non soffrono di diabete né di malattie cardiache. E aggiunge: “Se l’esercizio attenua la risposta allo stress, la compensazione è positiva”. Ma dice che non bisogna ingannare chi è a dieta: “L’esercizio fisico impedisce di ammalarsi, ma la dieta è lo strumento migliore per controllare il peso”.

Pontzer ha fatto anche altre scoperte sorprendenti. Nel 2021 insieme a Speakman ha coordinato il lavoro per usare una nuova straordinaria risorsa, la banca dati dell’acqua doppiamente marcata dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica, che include gli studi condotti su quasi 6.800 persone, dai neonati a chi ha 95 anni.

I due scienziati hanno usato i dati per fare il primo studio completo sull’uso dell’energia nel corso della vita umana. Anche in questo caso si metteva in discussione un’idea consolidata, cioè che gli adolescenti e le donne incinte hanno un metabolismo più elevato. Pontzer ha scoperto che le vere dinamo sono i bambini piccoli. I neonati hanno lo stesso tasso metabolico delle loro madri in gravidanza, che non è diverso da quello delle altre donne con le stesse dimensioni corporee. Ma i bambini di età compresa tra nove e quindici mesi consumano il 50 per cento in più di calorie in un giorno rispetto agli adulti, sempre in rapporto alle dimensioni e al grasso corporeo. È probabile che quel dispendio energetico serva ad alimentare il loro cervello in crescita e, forse, anche lo sviluppo del sistema immunitario. I risultati, riportati su Science, ci aiutano a capire perché i bambini malnutriti possono avere un ritardo nella crescita.

Il metabolismo dei bambini rimane alto, rispetto alle dimensioni corporee, fino a circa cinque anni, quando comincia un lento declino fino a vent’anni e si stabilizza nell’età adulta. Gli esseri umani cominciano a consumare meno energia intorno ai sessant’anni, a novanta ne consumano il 26 per cento in meno rispetto agli adulti di mezza età. Ora Pontzer sta indagando su un mistero emerso dai suoi studi sugli atleti: sembra che ci sia un limite specifico al numero di calorie che il nostro corpo può bruciare al giorno, legato alla velocità con cui digeriamo il cibo e lo trasformiamo in energia. Ha calcolato che il tetto massimo per un uomo di 85 chilogrammi sia di circa 4.650 calorie in 24 ore.

Speakman pensa che questo limite sia troppo basso, visto che i ciclisti del Tour de France degli anni ottanta e novanta lo hanno superato. Ma secondo Pontzer assumevano grasso e glucosio direttamente nel loro flusso sanguigno, e questo li aiutava a superare i limiti fisiologici della conversione del cibo in energia. Gli atleti di alto livello possono superare i limiti per diversi mesi, come ha dimostrato lo studio sui maratoneti, ma non possono farlo per sempre, conclude Pontzer. Per capire in che modo il corpo può alimentare un intenso esercizio fisico o combattere le malattie senza superare i limiti energetici, Pontzer e i suoi studenti stanno indagando su come riduce altre attività. “Forse scopriremo che questi aggiustamenti riducono l’infiammazione e la nostra reazione allo stress. Lo facciamo per riequilibrare il conto energetico”.

Questo ci riporta a Christina. Dopo il test, la studente ha detto che “era decisamente stressata”. Con il passare del tempo, la sua frequenza cardiaca era aumentata da 75/80 battiti al minuto a 115. E il suo consumo di energia era passato da 1,2 chilocalorie al minuto a 1,7. “Ha bruciato il 40 per cento di energia in più al minuto durante il test di matematica e il 30 per cento in più durante il colloquio”, dice Pontzer. “Non esiste nessun altro processo che aumenta le nostre energie di circa il 40 per cento”.

Pontzer spera che questi dati contribuiscano a fargli scoprire il costo nascosto dello stress. Misurare il modo in cui lo stress e le reazioni immunitarie fanno aumentare il consumo di energia potrebbe aiutarci a capire come queste attività invisibili si sommano e pesano nel nostro bud­get energetico giornaliero. Pontzer sa che questo lavoro è fatto apposta per lui. “Fino a quando non saremo in grado di dimostrare come si spostano le leve per modificare l’uso dell’energia, le persone rimarranno scettiche. Sta a noi condurre i prossimi esperimenti”. ◆ bt

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Questo articolo è uscito sul numero 1453 di Internazionale, a pagina 52. Compra questo numero | Abbonati