Tutto cambia, e nulla cambia. È il paradosso principale che emerge dai risultati delle elezioni legislative libanesi del 15 maggio, in cui il movimento filoiraniano Hezbollah e i suoi alleati hanno perso la maggioranza in parlamento e i candidati legati alle proteste del 2019 hanno ottenuto un buon risultato. Il panorama politico del paese ne è uscito in gran parte stravolto: nessuno può più dire di aver conquistato la maggioranza e per costituire le future alleanze parlamentari, quelle di comodo e non solo, ci saranno molti nodi da sciogliere.

Nel paese regna l’incertezza. Ma il voto ha ridato mobilità a una vita politica libanese completamente paralizzata da anni. Ha riaperto il campo delle possibilità, anche se bisogna ricordarsi che il contesto in cui si svolge questo gioco non è cambiato, il che riduce considerevolmente le opzioni.

Per i nuovi deputati non sarà facile cambiare le regole che mandano avanti la vita politica libanese e che dal 2005 in poi hanno costretto i partiti a un compromesso

Per i nuovi deputati non sarà per niente facile cambiare le regole che mandano avanti la vita politica libanese e che, almeno dalla fine dell’occupazione siriana nel 2005, hanno costretto i partiti a un compromesso per evitare una paralisi istituzionale. Il periodo che si apre è tanto interessante quanto pericoloso. Ed esige, in particolare per i partiti dell’opposizione e più in generale per quelle che si definiscono le forze del cambiamento, di sciogliere dei rompicapi insolubili.

Riassumiamo la situazione. Il Libano sta attraversando la peggiore crisi economica della sua storia e le riserve della Banca centrale stanno per esaurirsi: al momento sono stimate a 11 miliardi di dollari (circa dieci miliardi di euro) e diminuiscono costantemente man mano che il governatore della Banca centrale ne inietta una parte (circa mezzo miliardo al mese) nel circuito bancario per sostenere la lira. Con questo ritmo, sostengono gli esperti, al Libano restano solo pochi mesi (tra i sei e gli otto) prima di essere scollegato dal sistema bancario internazionale. A quel punto le banche libanesi sarebbero considerate insolventi e non potrebbero più fare transazioni con quelle internazionali, un problema potenzialmente enorme per un paese che importa ancora la maggior parte dei suoi beni di consumo.

Per evitare questo scenario, il peggiore in assoluto, il Libano ha bisogno al più presto di un aiuto finanziario, che può arrivare solo dal Fondo monetario internazionale (Fmi). Ma per garantire il suo sostegno al paese l’Fmi pretende l’attuazione di alcune riforme. Questo implica – e qui arriviamo al cuore del problema – la formazione in breve tempo di un governo che si metta d’accordo sulle priorità da affrontare.

Quindi torniamo alla politica. Il nuovo parlamento può essere diviso in tre blocchi. Il primo, il più importante, è formato da Hezbollah e dai suoi alleati. Questa coalizione ha il vantaggio di presentarsi per quello che è, ma è attraversata da profonde rivalità e divergenze, soprattutto tra la Corrente patriottica libera (Cpl, il partito cristiano fondato dal presidente Michel Aoun) e il movimento sciita Amal. La priorità della coalizione non è riformare il sistema, ma sopravvivere al suo interno, quindi rischia di essere il principale freno a qualunque cambiamento. Sia le forze sciite sia la Corrente patriottica libera non accetteranno di essere escluse dal governo e Gebran Bassil, ex ministro degli esteri e attuale presidente della Cpl, ha già avvertito che un esecutivo tecnico è totalmente fuori discussione.

Le elezioni del 15 maggio hanno segnato l’inizio di una nuova era, che però al momento non può concretizzarsi perché il sistema in cui è nata è agonizzante

Il secondo blocco, che rappresenta l’Alleanza del 14 marzo (in riferimento alla data delle manifestazioni del 2005 durante la rivoluzione dei cedri), comprende tutti quelli che fanno della sovranità la loro priorità, a cominciare dal partito cristiano Forze libanesi. Rinfrancata dalla sua vittoria alle legislative e dal sostegno dell’Arabia Saudita, la formazione guidata da Samir Geagea si contrappone totalmente a Hezbollah, non lasciando spazio ad alcuna trattativa. Questo rischia di compromettere la formazione del governo. L’atteggiamento di questo blocco non omogeneo rispetto a riforme come la legge sul controllo dei capitali e la ristrutturazione del sistema bancario al momento non è molto chiaro.

Il terzo blocco, che non è di certo più compatto degli altri, è formato dai deputati della contestazione. Sono stati eletti dopo che avevano promesso di opporsi alla classe dirigente e dovrebbero probabilmente rifiutare qualunque alleanza. Questa posizione, moralmente lodevole, può avere però degli effetti deleteri sul piano politico e contribuire a isolarli all’interno del parlamento. Se non riuscirà a dialogare con i partiti tradizionali, il terzo blocco non avrà alcun peso all’interno dell’assemblea.

In questo contesto può nascere una maggioranza di riformisti? Per il momento non è chiaro. Tra questi tre blocchi navigano inoltre, in una zona grigia, delle figure indipendenti o di partiti minori che, a seconda delle tematiche o dei loro interessi, possono allearsi con gli uni o con gli altri. In una normale democrazia parlamentare questa situazione darebbe luogo a un appassionante gioco di ruolo in cui gli alleati del giorno prima diventerebbero i rivali del giorno dopo. In Libano però i margini di manovra sono nettamente più limitati.

La prima scadenza parlamentare da affrontare è l’esempio perfetto per spiegare lo stallo attuale. Il presidente del parlamento Nabih Berri, leader di Amal e candidato a succedere a se stesso, in teoria dovrebbe far fatica a mantenere il suo seggio. Ma qual è l’alternativa per l’opposizione, considerando che non c’è nessun altro candidato e che tutti i deputati sciiti fanno parte di Hezbollah o di Amal? Niente li obbliga, in base alla costituzione, a eleggere un presidente della camera sciita, ma rimettere in discussione questa regola tacita sarebbe considerata una dichiarazione di guerra da Hezbollah e Amal.

Per l’opposizione quindi il miglior scenario è quello in cui Nabih Berri viene rieletto con il minor numero di voti – e dunque con la minor legittimità – possibile. Questo non cambierebbe radicalmente la situazione e il capo di Amal, uno dei principali ostacoli alle riforme, manterrebbe la sua posizione strategica. Ma l’opposizione potrebbe scommettere sul fatto che più è indebolito e più potrebbe fare delle concessioni.

La stessa logica rischia di prevalere anche nel caso della nomina del primo ministro e della formazione del governo. Di solito il premier parte da una base di ampio consenso. Oggi è possibile? L’ex ambasciatore libanese alle Nazioni Unite, Nawaf Salam, potrebbe essere il candidato del fronte della contestazione, ma Hezbollah gli è ostile. È il caso allora di avviare un braccio di ferro politico su questo tema, meno importante per il partito sciita della permanenza di Nabih Berri a capo del parlamento?

Le elezioni del 15 maggio hanno segnato l’inizio di una nuova era politica, che però al momento non può concretizzarsi, considerato quanto è agonizzante il “sistema” in cui è nata. L’opposizione ha solo due scelte possibili: la prima consiste nel cercare di avanzare a piccoli passi, facendo dei compromessi e accettando il fatto che il cammino sarà lungo e pieno di insidie. La seconda è giocare fino in fondo la carta dello scontro con il rischio di creare un vuoto istituzionale, sia al vertice del governo sia alla presidenza della repubblica.

Entrambe le opzioni hanno senso ma hanno anche i loro limiti. Il Libano non può permettersi il lusso di restare per mesi senza un governo, potrebbero argomentare subito i sostenitori della prima opzione. I governi di unità nazionale formati dal 2005 in poi con il pretesto di rispondere all’emergenza finora non hanno realizzato nessuna delle riforme necessarie, potrebbero replicare a quel punto i sostenitori della seconda. Entrambi avrebbero parzialmente ragione, senza che nessuna delle soluzioni risolva tuttavia il problema.

Ora tocca all’opposizione prendere una decisione: alla fine qual è il male minore? ◆ ff

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Questo articolo è uscito sul numero 1462 di Internazionale, a pagina 43. Compra questo numero | Abbonati